Montreal e le “gemelle diverse” 33 Stradale e Carabo

In “Storie Alfa Romeo” tre miti in primo piano: Montreal e le “gemelle diverse” 33 Stradale e Carabo

di Sergio Troise
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MILANO - Ricorre quest’anno il 50° anniversario dell’Alfa Romeo Montreal. Presentata in anteprima all’esposizione universale di Montreal del 1967, e in forma definitiva al Salone di Ginevra del 1970, rappresentava “la massima ispirazione dell’uomo in fatto di automobili”. Così, almeno, recitava lo slogan lanciato dalla casa del Biscione quando sollevò i veli sull’auto con la quale avrebbe voluto dimostrare, negli anni 70, competenze e capacità ai vertici in fatto di stile, meccanica, prestazioni: tutte qualità in qualche modo condivise con l’Alfa 33 da corsa, protagonista nel Mondiale Marche e non solo. Della 33, altro capolavoro coevo della Montreal, venne realizzata infatti anche una piccola serie in versione stradale, per non dire della Carabo, dream car che nel 1968 rappresentò l’evoluzione più estrema delle sportive nate sulla base del progetto 33.

Di tutto questo si narra, con dovizia di particolari, nel settimo episodio di “Storie Alfa Romeo”, la collana on line che nel 110° anno di vita del Biscione ricostruisce i capitoli più importanti della vita dell’azienda. Una narrazione avvincente, grazie alla quale vengono alla luce fatti e personaggi altrimenti costretti all’oblio. Come Orazio Satta Puliga e Giuseppe Busso, ingegnere-manager e inimitabile tecnico motorista, i quali – vale la pena sottolinearlo – per definire lo stile della Montreal chiesero la collaborazione di Nuccio Bertone. Con il carrozziere torinese lavorava all’epoca un giovane di talento come Marcello Gandini (il designer che negli anni a venire avrebbe firmato tanti capolavori, su tutti la Lamborghini Miura). Il risultato fu un grande successo: i visitatori dell’Expo di Montreal apprezzarono l’eleganza e i contenuti della vettura e sull’onda del consenso venne deciso di avviare la produzione di serie della nuova sportiva. La Montreal sarebbe diventata l’auto di punta della gamma Alfa Romeo.

La gestazione del modello di serie non fu però facile. In “Storie Alfa Romeo” l’argomento viene appena sfiorato, ma vale la pena ricordare che inizialmente sotto al cofano dell’avveniristica granturismo del Biscione batteva un cuoricino a 4 cilindri di 1,6 litri, lo stesso della Giulia, decisamente inadeguato alle dimensioni e alla vocazione dell’auto. Dopo non poche discussioni interne, e oggettive difficoltà di adattamento, venne dunque deciso di adottare un V8 derivato dalla 33, portato a 2.6 litri e limitato da 230 a 200 cavalli. Ed è in questa configurazione che la Montreal si è guadagnata la stima e l’apprezzamento degli alfisti di 50 anni fa e dei collezionisti dei giorni nostri: una Montreal ben conservata (o ben restaurata) oggi vale attorno agli 80.000 euro.

In quegli anni ruggenti, come detto, altri due modelli esclusivi hanno segnato la storia dell’Alfa: la 33 Stradale e la dream car Carabo. Due auto molto diverse tra loro ma nate dalla stessa piattaforma, ovvero sul telaio con schema ad H della 33 da corsa. Rispetto all’auto da pista, però, non venne più utilizzato l’alluminio ma l’acciaio, e il passo venne allungato di 10 centimetri. Il motore è rimasto lo stesso della 33, interamente in leghe di alluminio e magnesio, con iniezione meccanica indiretta e lubrificazione a carter secco. La distribuzione fu affidata a un bialbero a camme in testa, con due valvole e due candele per cilindro. “La base tecnica comune – si legge nel settimo capitolo di “Storie Alfa Romeo”- rappresenta la sintesi di cinquant’anni di esperienza nelle corse. Progettazione ingegnosa e rigorosa, perizia e coraggio nella scelta dei materiali, uno stile che sposa innovazione tecnologica e creatività, sono questi gli ingredienti di progetto della Tipo 33”.

Ciò detto, nella ricostruzione storica la Casa tiene a rammentare che sebbene 33 Stradale e Carabo fossero entrambe proiettate nel futuro, “rappresentarono due mondi diversi”. La 33 Stradale fu disegnata da Franco Scaglione, progettista toscano di nobile famiglia formatosi con studi in ingegneria meccanica e aeronautica, dunque con un bagaglio di conoscenze utili per fondere lo stile con la ricerca dell’aerodinamica e della funzionalità; Marcello Gandini si dedicò invece alla Carabo, definita “gemella diversa” della 33 Stradale, in quanto utilizzava la medesima base telaistica e meccanica (il V8 derivato dalla 33) e conservava la compattezza di un’auto non più alta di un metro, ma vennero cancellate del tutto le linee tondeggianti, a beneficio di un profilo a cuneo, con tratti taglienti e portiere con apertura “a forbice”.

Il nome Carabo – viene raccontato nella ricostruzione della Casa - prende ispirazione dal Carabus auratus, un coleottero dai colori metallici e brillanti, gli stessi che vennero proposti sulla vettura: verde luminescente con dettagli arancione. Fu da quel momento che in Alfa Romeo si cominciò a prestare attenzione ai colori più estrosi e a tecniche di verniciatura speciali: elementi in grado di evidenziare ancora di più l’unicità del marchio. Una ricerca cromatica che sarebbe continuata con la Montreal.


 

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Martedì 9 Giugno 2020 - Ultimo aggiornamento: 10-06-2020 15:54 | © RIPRODUZIONE RISERVATA