Stephan Peterhansel (a sinistra) e Carlos Sainz senior sul podio della scorsa Dakar

Audi, assalto a Dakar: un dream team per sfidare il deserto e conquistare la corsa più dura del mondo

di Giorgio Ursicino
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INGOLSTADT - Tremate, tremate, le Audi son tornate. Suvvia, non si può certo dire che la Signora degli Anelli avesse voltato le spalle al motorsport. Solo che, in una fase di transizione in cui tutto sta cambiando, avevano un po’ alzato il piede dal gas per controllare la direzione delle “regole”. Per un brand che ha sempre alimentato se stesso con lo sport e le competizioni poteva sembrare un mezzo disimpegno. Tutte le attenzioni sono state indirizzate alla Formula E, un “atto dovuto” per un costruttore che ha puntato fortissimo sulla transizione energetica e sulla mobilità premium, ma sempre sostenibile. Un messaggio forte è chiaro, utilizzabile dal marketing per definire l’immagine, il nuovo posizionamento del marchio. Ora che tutto è più chiaro, gli ingegneri di Ingolstadt non hanno resistito al “richiamo della foresta”. Nessuna polemica sul ritiro dalla FE, ci mancherebbe.

I rapporti con la Fia sono sempre stati eccellenti e la Federazione sa bene quando Audi tenga al fascino della sfida. Le monoposto elettriche, che hanno attratto le principali case, però, hanno un regolamento ferreo per non far lievitare i costi e molte componenti della vettura sono uguali per tutti limitando la fantasia e la creatività dei progettisti. Un approccio condivisibile, ma non perfettamente in linea con la filosofia Audi che ha fatto nell’ultimo mezzo secolo dall’innovazione tecnologica e dell’avanguardia nella tecnica i pilastri del proprio Dna. E poi, c’è il fascino della tradizione. Pagine di leggenda in cui l’eccellenza motoristica si miscela con le imprese di piloti diventati eroi. Le radici affondano profonde verso leggende chiamate “24 Ore di Le Mans” o “Dakar”, palcoscenici dove il confine fra la cronaca e la favola è più sottile di un foglio.

Ebbene, sembrerà un caso, ma Audi ha deciso di ripartire proprio da qui. Non lascia, ma raddoppia. E presto vedremo vetture bavaresi in lizza per la vittoria assoluta, sia alla maratona francese che a quella del deserto. Puntando su argomenti sconosciuti e sfidando quindi l’“ignoto”, l’icona del Volkswagen Group, oltre ad aver dominato in tutte le categorie in cui si è impegnata (Rally, Turismo, Endurance), ha introdotto, collaudato e sviluppato, innovazioni che sono state una pietra miliare, non solo per l’azienda, ma per tutto il mondo dell’auto. Per citarne qualcuna la trazione integrale, la “costruzione leggera”, l’iniezione diretta e la motorizzazione ibrida. Non si può non riconoscere che questa impostazione ha fatto fare passi importanti alle vetture di serie. L’unica cosa che conta e giustifica l’impegno umano e finanziario. Altri due aspetti fanno parte del bagaglio Audi.

Da una parte, le corse di durata, nelle quali devi essere, solo veloce, ma durare nel tempo e vantare una robustezza e un’affidabilità al limite del credibile. Dall’altra, l’aspetto umano, relazionale, lo spirito di gruppo. Il team. Sia alla 24 Ore che alla Dakar questo aspetto è fondamentale e ad Audi piace tanto perché l’impegno condiviso è qualcosa di basico in tutti i tipi di lavoro, escluso l’eremita. Un tipico esempio è la coppia di piloti ingaggiati per la Dakar: Stéphane Peterhansel e Carlos Sainz. Il francese e lo spagnolo non sono proprio di primo pelo, entrambi hanno spento le 50 candeline già da un pezzo. Più che driver sono due leggende, capaci di prendersi a ruotate a 200 all’ora in fuoristrada per migliaia di chilometri nell’arco di due settimane e la sera mangiare insieme al bivacco come due fratellini. Savoir-faire e rispetto reciproco, stima e valori condivisi. Compresa l’arte di saper perdere. Le due sfide sono già partite e sono pure un pezzo avanti.

Quella di Le Mans, però, vedrà il primo impegno ufficiale all’inizio del 2023 con la 24 Ore di Daytona per poi affrontare a giugno la battaglia francese che, nell’anno del centenario, vedrà ai nastri di partenza un “parterre de rois” mai andato in onda in un secolo di sfide mozzafiato. Molto prima, fra poco più di sei mesi, a gennaio 2022, ci sarà l’assalto a Dakar con un’astronave tutta elettrica e un dream team da favola. Con i piloti ingaggiati, c’è da giurare che, già all’esordio, si punterà al trionfo. Peterhansel è vissuto per la Dakar. L’ha disputata 33 volte (ininterrottamente dal 1988) e la vinta in 14 occasioni, 6 in moto e 8 in auto. Un imperatore. Si è guadagnato i galloni di “mister Dakar”. Con le 2 ruote è rimasto fedele alla Yamaha, con le 4 è passato sempre ai volanti migliori perché tutti i favoriti, per non rischiare di perdere, volevano sempre Stéphane con loro. Nissan, Mitsubishi, Bmw, Mini, Peugeot poi di nuovo Mini.

Carlos, invece, ne ha vinte “solo” 3 (Volkswagen, Peugeot e Mini) creando un sodalizio unico con Peterhansel. Il papà dell’attuale pilota Ferrari ha brindato ai 59 anni il 12 aprile e nella sua prima vita agonistica ha conquistato 2 Mondiali Rally con la Toyota. La terza punta è un pischello visto che ha solo 42 anni. Mattias Ekstrom è una vita che corre per l’Audi. Ha vinto 2 volte il DTM ed è diventato campione del mondo Rallycross; ha corso anche in Nascar e nel WRC. Mattias è un pivello di Dakar dove ha partecipato per la prima volta quest’anno. Lo scorso gennaio il progetto Audi era già avanti ed è stato mandato a fare esperienza sotto la guida del guru dei team manager Sven Quandt. L’ex rampollo (ora ha 65 anni...) della famiglia che controlla la Bmw, che ha vinto più edizioni proprio con la Mini, metterà la sua vasta conoscenza del deserto a disposizione di Audi Sport a cui darà supporto per la nuova avventura.

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Lunedì 14 Giugno 2021 - Ultimo aggiornamento: 01-01-2022 21:27 | © RIPRODUZIONE RISERVATA
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