A È la fine di un mito? La locomotiva è arrivata al capolinea? Certo che no. L’auto tedesca avrà un futuro importante ma, dai tempi in cui la Patent Motorwagen di Karl Benz mostrò al mondo come poteva essere un veicolo con motore a scoppio, il settore automotive sta vivendo in Germania uno dei momenti più difficili. Quando le certezza vacillano, le cause sono sempre molteplici. Tanto che i punti di forza possono trasformarsi in debolezze, dossier indigesti da smaltire. Dalle parti di Berlino la mobilità è sempre stata trainante, sfoggiando la tecnologia delle quattro ruote come biglietto da visita della potente industria che ha spinto in alto l’economia nei primi decenni del nuovo Millennio.
La Cina scelse proprio la collaborazione con la Germania per avviare quel settore che sarebbe diventato trainante nel pianeta, scalzando l’Europa ed il Nord America da sempre leader incontrastate. La Cancelleria, da che mondo è mondo, ha maneggiato l’auto con i guanti. Recentemente, però, le risorse non sono più illimitate, ci sono problemi geopolitici le cui turbolenze non risparmiano alcuno e poi pesano i problemi di un comparto gigante che non ha più le proprie certezze perché la transizione ecologica propone cambiamenti difficili da attuare quando c’è un’architettura economico-sociale corposa e rigida. Dinamiche che, in piccolo, sta vivendo anche il nostro paese, se non altro perché la nostra componentistica di qualità è sempre stata scelta per realizzare i giocattoli tedeschi.
Tralasciando guerre e cambi di approvvigionamenti energetici, le motivazioni settoriali certamente non mancano. Una delle principali è la Cina. In natura può succedere che i cuccioli si ribellino alla propria madre. Ed il grande paese orientale, dopo aver convissuto in armonia con l’eccellenza tedesca, ha presentato il suo conto. Per carità, niente di non corretto ma, come si dice, c’è sempre un momento in cui l’allievo mette in discussione il maestro, ed i cinesi sono così impallinati di tecnologia proprio perché cresciuti con le credenze germaniche. In questo contesto si è inserita la crisi del settore strutturale in Europa, dovuta in gran parte ai turbamenti della nuova mobilità che, in un modo o nell’altro, hanno fatto perdere il 20% del mercato dell’auto rispetto a prima della pandemia, una coincidenza del tutto casuale. Sembra niente, ma è un baratro.
Basti pensare che il solo gruppo Volkswagen vende un’auto su quattro di quelle che si consegnano in Europa e in un contesto in cui una su cinque è volata via. Per far fronte servirebbero le regole sindacali meno rigide che ci sono negli USA o quelle dirigiste che animano il business a Pechino e dintorni. Ma non è così, perché in Germania, come in Giappone, l’industria ha sempre avuto anche un ruolo sociale e la forza lavoro è un’entità di grandissimo rilievo, Questa impostazione può funzionare quando tutto fila liscio e vincono i migliori. Quando c’è il terremoto di una nuova era i punti fermi saltano e la nave vacilla.
Ne sa qualcosa Oliver Blume, ceo del gruppo Volkswagen che, nonostante le buonissime intenzioni, si è dovuto arrendere all’evidenza: mettere toppe non basta più, se si vendono meno macchine la produzione dovrà calare e si dovrà intervenire su impianti e dipendenti. I cinesi poi, e questo non lo hanno fatto apposta, in un lasso di tempo brevissimo, sono sbarcati in Europa diventando il primo esportatore nel nostro continente (al momento mezzi milione di auto l’anno destinate a salire...). Ma l’abbraccio Germania-Cina è così intrigante che non è lecito sperare sui dazi per le vetture elettriche orientali perché i primi ad uscirne con le ossa rotte sarebbero proprio i tedeschi che si sono schierati contro il provvedimento di Bruxelles.
Due sole sfaccettature fra le tante che fanno tremare Berlino: pagherebbero i dazi le numerose auto elettriche tedesche che sono costruite in Cina e, per ritorsione, verrebbero penalizzati i numerosi modelli di alta gamma che vengono dalla Germania. Un disastro. Infine i problemi-opportunità che propone la mobilità pulita, quella elettrica a batterie. La tecnologia è tutta nuova e chi parte da zero (le start up) ha solo l’impegno di crescere. Chi era vincente prima, invece, ha anche l’onere di smontare un apparato complesso che richiede investimenti ingenti.