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MILLERUOTE
di Giorgio Ursicino
Una stazione di ricarica per auto elettriche

Senza un piano strutturale la mobilità ecologica non è sostenibile

di Giorgio Ursicino

Che finissero prima della scadenza era ampiamente previsto. Che un provvedimento governativo, studiato per dare fiato e orientamento ad un mercato strategico come quello dell’auto, durasse poco più di 24 ore, sinceramente no. Ormai è chiaro, questi incentivi disincentivano. Sono uno dei motivi della crisi sempre più drammatica che attanaglia il settore. L’economia è ripartita. Il virus, ancora subdolo, lo abbiamo in qualche modo “imbrigliato”. Non è facile trovare altri comparti, che incidono in maniera così rilevante sul Pil del Paese, costretti a lasciare sul terreno oltre un terzo del business rispetto ad un anno fa. Periodo non certo da ricordare per la pandemia e il primo lockdown dell’era industriale. I mercati, si sa, sono sensibili. Alterandoli si chiudono a riccio. Arruffano il pelo come un gattino. Questo è successo. E pare che nessuno lo noti. O gli dia la giusta importanza. A settembre il mercato italiano è crollato del 32,7% rispetto al 2020. Ad ottobre è sprofondato del 35,7%.

Ormai si viaggia ad una velocità media di poco superiore alle 100 mila immatricolazioni al mese, e a 60 giorni da fine anno, abbiamo già perso 360 mila vetture rispetto allo stesso periodo del 2019, prima che arrivasse il virus. A dicembre l’emorragia supererà i 400 mila esemplari e difficilmente il cumulato raggiungerà il milione e mezzo. Nell’ultimo mese si è arrestata anche la corsa delle auto elettrificate (quelle con la spina) che in Germania, con il mercato complessivo in picchiata come il nostro (-35% le vendite, -38% la produzione ad ottobre), viaggia a gonfie vele. A Berlino e dintorni le vetture solo a batteria sono quasi al 20% del totale, più di quelle diesel; da noi appena un “incoraggiante” 7%. Ma i consumatori sono pronti. Il G20 di Roma e COP26 scozzese hanno ribadito com’è drammatica la situazione del pianeta.

Ora, per aiutare la causa, l’auto ha bisogno dei punti di ricarica e degli ecobonus strutturali, almeno a medio termine. Al caos sui contributi stop&go, si aggiunge il fritto misto di incentivi a vetture non omogenee, che magari la Capitale ferma nei giorni di traffico limitato. Chi ha ragione? Non facile capirci qualcosa. Sembra una cosa poco seria. In realtà gli automobilisti hanno ben chiaro lo scenario e aspettano. Acquistare un’auto termica, anche se fortemente scontata, potrebbe non essere un buon affare per la tenuta del valore nel tempo. E questo è confermato spesso dal maggior costo mensile che accompagna il canone delle vetture a gasolio o a benzina rispetto a quelle elettriche. Forse per una volta i clienti e le case costruttrici sono sulla stessa barca e attendono le decisioni del governo che deve necessariamente schierarsi su un tema tanto profondo. Ormai è chiaro che la inspiegabile crisi dai semiconduttori si è trasformata da problema in opportunità.

In questa delicata fase transitoria solo tagliando la produzione si potevano ottenere risultati finanziari record. Che ci sia odore di bruciato è confermato dalle vendite vigorose dei prodotti che tirano (a livello mondiale Ferrari, Tesla, ma anche Toyota). Allora perché mettere sui piazzali auto che in pochi vogliono comprare e quasi nessuno vendere? Per una volta non guardiamo l’indispensabilità dell’intervento pubblico dal punto di vista economico. Delle finanze dello Stato. Con la relativa perdita transitoria di vendite, Pil e, forse, anche di occupazione. Approcciamo il tema dal punto di vista “scientifico”. Nei recenti vertici mondiali è emerso uno scenario chiaro. Dobbiamo contenere l’aumento della temperatura media del globo di 1,5 gradi in questo secolo se non vogliamo rimanere schiacciati fra deserti che avanzano ed oceani che s’impennano, con uragani sull’uscio di casa.

L’asse Bergoglio-Mattarella-Draghi ha sintetizzato il quadro: ora è il momento; basta parlare, bisogna agire. Un approccio non troppo diverso di quello strillato da Greta Thunberg e molti suoi coetanei. Così la pensa anche Biden che ha mostrato, insieme ai vertici del nostro paese, di voler portare a zero le emissioni di CO2 entro il 2050. Per il trasporto pubblico nel Pnrr, giustamente, ci sono 7 miliardi. Cosa abbiano fatto per uno dei parchi circolanti più grandi e anziani d’Europa? Quasi niente. Con questo passo è impossibile azzerare le emissioni di CO2 in poco tempo. Prima di tirare per la camicia gli altri, che oggettivamente possono avere più difficoltà, forse è il caso di guadare nel giardino di casa. Mario Draghi, ammirato da tutti per la concretezza e il carisma sullo scenario internazionale, ha rispolverato la politica della multilateralità, l’unico modo di procedere con speranza quando si è in tanti a decidere, tutti con pari dignità.

A Glasgow l’India, la Cina e pure la Russia hanno detto che la metà del secolo ce la possiamo scordare. Quindi, chi può, deve arrivare primo, senza guardare gli altri. Sempre il nostro premier sostiene che per raggiungere il target la tecnologia ci aiuterà. E quale settore più della mobilità riceverà una spinta dal progresso? È necessario anche da noi un piano pluriennale che indichi, in maniera chiara e senza marce indietro, la direzione. Gli incentivi saranno una conseguenza e dovranno essere fatti in relazione alle risorse disponibili. I veicoli non sono certamente l’unica fonte d’inquinamento.

Iniziare a pulire l’aria delle città dove le persone vivono, però, è certamente un aspetto primario, e, finalmente, a portata di mano. Per anni i grandi decisori della Terra hanno agognato la mobilità green. Ora che il terreno è pronto, e i consumatori e i costruttori, non solo per coscienza ecologica, tirano dalla stessa parte, si possono creare le condizioni e l’ecosistema affinché il sogno diventi realtà. Senza una vigorosa manovra ad hoc dell’esecutivo, però (che dia ossigeno al mercato migliorando l’aria che respiriamo), non andremo da nessuna parte.

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Mercoledì 24 Novembre 2021 - Ultimo aggiornamento: 25-11-2021 09:36 | © RIPRODUZIONE RISERVATA
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