La Yamaha R1 modello 2012 impeganta sul circuito di Valencia

Yamaha R1, una belva molto sicura
stile dedicato per i 50 anni nei GP

di Lorenzo Baroni
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VALENCIA - La versione 2012 della Yamaha R1 si contraddistingue per l’introduzione del sistema di controllo della trazione, sviluppato direttamente dalla Yamaha e denominato TCS che si va ad unire agli altri sistemi elettronici di cui la moto era già dotata come le trombette a geometria variabile e le tre mappature per il motore. Il nuovo sistema di controllo della trazione si rivela ben sfruttabile in ogni condizione dalla strada alla pista e aggiunge grande sicurezza attiva durante la guida di questa potentissima due ruote. Ricordiamo infatti che la potenza è di ben 182CV a 12.500 il tutto per un peso di circa 206kg. Resta invece l’originale propulsore quattro cilindri a scoppi irregolari, unico del panorama motociclistico attuale propone una erogazione e uno schema costruttivo inedito e molto interessante. A questa unità meccanica la nuova R1 associa novità estetiche con nuove colorazioni eleganti e molto aggressive in particolare la 50th Anniversary che festeggia i 50 anni di presenza della Yamaha nei GP. Affianco alla nuova livrea, realizzata in un numero limitatissimo di esemplari ci saranno le colorazioni, Yamaha blue, Competition White e Mat Grey, tutti gli esemplari saranno venduti in Italia già accessoriate dei bellissimi terminali di scarico in titanio marchiati Akrapovic. Il prezzo sarà di 17.190€ per le versioni standard e di 17.690€ f.c per il modello con livrea Anniversary. Le novità estetiche riguardano anche degli affinamenti sul cupolino con la parte bassa più spiovente e snella nella parte centrale, nuovi anche gli indicatori di direzione ed i fari di posizione a led che donano al frontale un profilo più pulito e moderno.


La tecnica. Il telaio Deltabox utilizza componenti fusi per gravità nella zona del cannotto di sterzo, per i supporti del motore e per l’ancoraggio del forcellone, mentre le parti centrali sotto il serbatoio sono realizzate all’esterno in alluminio pressofuso a riempimento controllato, che consente di realizzare pareti maggiormente sottili, mentre all’interno sono realizzate in alluminio estruso. Il motore diventa elemento stressato e dei suoi rigidi supporti due sono posti superiormente, due inferiormente al carter e due sulle estremità destra e sinistra della testa. Il vantaggio di questa costruzione è che le parti fuse per gravità sono estremamente rigide, mentre quelle fuse ed estruse che le collegano sono più flessibili.
Dal punto di vista elettronico troviamo il sistema “D-mode” che prevede tre diverse modalità per la mappatura del motore: Standard, A e B, selezionabili dal pilota in base alle condizioni di guida tramite l’apposito comando sul semimanubrio destro. La modalità Standard è mappata per offrire prestazioni complessive ottimali, la modalità A garantisce una risposta più pronta del motore, mentre la B fornisce un feedback più dolce ai comandi impartiti dal pilota sull’acceleratore.
Come sulla versione 2009 infine troviamo il comando del gas a controllo elettronico YCC-T (Yamaha Chip-Controlled Throttle), il sistema di iniezione elettronica con iniettori secondari, la valvola parzializzatrice allo scarico Exup e il sistema che varia la lunghezza dei condotti di aspirazione YCC-I (Yamaha Chip-Controlled Intake) per ottimizzare la respirazione del motore ai diversi regimi di rotazione. Pistoni presso fusi, bielle cementate e nuove tubazioni del liquido di raffreddamento dotate di anima flottante.
Ma è il cuore della R1 ciò che continua a distinguersi maggiormente dalla concorrenza, grazie all’albero motore a croce che gestisce gli scoppi in modo irregolari, vale a dire asimmetrico rispetto ad un quattro cilindri convenzionale. Gli scoppi sono qui spaziati con intervalli diversi grazie proprio allo sfalsamento di 90° di due dei quattro perni di biella. I perni di biella infatti sono disposti in modo da ottenere intervalli di accensione di 270º, 180º, 90º, 180º, del tutto diversi rispetto alla sequenza 180º, 180º, 180º, 180º di un motore a 4 cilindri tradizionale. Questa geometria consente di minimizzare la coppia inerziale creata dalle masse in movimento alterno e di ottenere un’ottima spinta ai regimi bassi e medi e un’eccellente linearità di erogazione a qualsiasi regime. E al fine di ottimizzare ulteriormente le forze di combustione del motore asimmetrico, la mappatura elettronica del sistema di alimentazione prevede una iniezione del carburante e una fasatura dell’accensione distinte per ogni cilindro.

Il motore della R1: l’albero a croce. Su un quattro cilindri convenzionale i quattro perni di manovella sono tutti sullo stesso piano, poiché sfalsati tra loro sempre di 180°. Infatti quando due pistoni omologhi (ad esempio primo e terzo cilindro) si trovano al punto morto superiore, gli altri due si trovano al punto morto inferiore. L’albero motore della R1 si definisce invece “a croce” perché la distanza relativa tra un perno di manovella e gli altri contigui è di 90°, quindi osservando l’albero dal volano i quattro perni appaiono disposti a X, vale a dire ai quattro lati opposti di uno stesso cerchio, da qui la definizione “a croce”.
Fino ad oggi, l’albero motore a croce è stato utilizzato esclusivamente su moto da competizione, sia per la forma complessa dei perni di biella e dei componenti dell’albero stesso, sia a causa di altri fattori, quali l’oscillazione della pressione della coppia generata dalla combustione e i livelli di vibrazione. Sul lato sinistro del motore vi è infatti un secondo piccolo volano che migliora la stabilità di rotazione dell’albero motore. Questo schema è lo stesso utilizzato sulla M1 MotoGP sulla quale però il senso di rotazione dell’albero è invertito rispetto a quello della moto standard.
Prima di capire a fondo come funzionasse il propulsore della nuova R1 è stato etichettato in vari modi questo motore, tra i tanti quello più gettonato è stato senza dubbio “motore big bang”. Dopo aver valutato la distribuzione degli scoppi appare chiaro come invece questo termine tecnico sia ben lontano dal tipo di funzionamento del quattro cilindri in questione. I “big bang” nacquero con le ultime versioni delle 500 cc a due tempi e stava a indicare un motore in cui i quattro scoppi dei diversi cilindri fossero tutti ravvicinati tra loro e avvenissero in pochissimi gradi di rotazione dell’albero motore. Questo avvicinamento degli scoppi li faceva apparire come un unico scoppio, quasi come se avvenissero tutti e quattro inisieme con un unico… “big bang”, da cui infatti il nome in gergo.
Gli scoppi infatti invece di essere equamente distribuiti lungo i 360° di un’intera rotazione dell’albero motore, con uno scoppio ogni 90°, venivano concentrati tutti e quattro in soli 60° circa di rotazione dell’albero. Questo tipo di funzionamento su un motore 4T in linea sarebbe praticamente impossibile, anche perché il ciclo completo di un quattro tempi è già di base di 720° (due giri completi di albero) anziché 360° come su un due tempi.
In un quattro tempi convenzionale le combustioni avvengono con una distanza di 180° di rotazione di albero motore, quindi se il primo cilindro scoppia a 0°, il secondo lo fa a 180°, il terzo a 360° e il quarto a 540° di rotazione. Sul motore a scoppi irregolari la distanza di scoppio tra il primo e l’ultimo dei cilindri non varia, restando di 540°; a cambiare è la distanza degli scoppi intermedi che diventa asimmetrica. Se il primo cilindro scoppia a 0°, il secondo lo fa dopo ben 270°, il terzo a 450°, mentre il quarto di nuovo a 540° (180°x3).
Quindi non si può certo definire un “big bang”, dal momento che la distanza degli scoppi tra il primo e l’ultimo cilindro resta invariata rispetto a un quattro cilindri convenzionale pur variando la sequenza intermedia degli scoppi. Le due configurazioni della combustione condividono però la ricerca di una migliore gestibilità della trazione.
I motori Big Bang invece sono molto diversi da questo, il nome infatti deriva dal fatto che tutti e quattro gli scoppi sono concentrati in un arco di giri molto contenuto della manovella. Questo tipo di motore era prerogativa esclusiva dei motori a 2 Tempi da GP, introdotto dalla Honda sulla NSR 500 si adeguarono poi a questo schema anche gli altri motori seppur in modo diverso, il concetto è che tutti e quattro gli scoppi vengono contenuti in un arco molto limitato, in particolare tra i 60 e i 90° di rotazione dell’albero. Il record spetta all’ultima evoluzione della Suzuki RGV 500.


In Sella. Il sound è insolito e più grave e baritonale rispetto agli squillanti quattro cilindri ai quali finora ci siamo abituati, all’apertura del gas sembra quasi un bicilindrico sia per il sound che per il suo modo nel salire di giri. Una volta in setta e tra i cordoli la nuova R1 è la tipica moto che in pista non strattona e non impressiona con improvvise variazioni di coppia, perché il motore ha un’erogazione dolcissima che sa sorprendere per le prestazioni complessive.
la versione 2012 presente delle variazioni anche ciclistiche rispetto alla precedente versione, soprattutto nella taratura del mono posteriore che ora è più morbido nella taratura della molla e al contempo mostra maggiore escursione della ruota e una maggiore SAG (corsa a vuoto). Ottimo come sempre sulla R1, il connubio gas motore, estremamente diretto e bidirezionale. Il sistema TCS inoltre oltre a dimostrarsi molto preciso e professionale (anche nella mappa 6 può essere utilizzato in pista con ottimi riscontri del cronometro) il sistema non taglia quando la moto è molto piegata come accade su altri sistemi di controllo della trazione
L’intervento del sistema è molto dolce si fa notare solo per la diminuzione di spinta peraltro molto contenuta e mai troppo invasiva, utilizzando il sistema sul terzo o quarto livello la moto inizia a muoversi sul posteriore, ma mai in maniera eccessiva. In queste condizioni è indispensabile fidarsi del sistema e utilizzare il moderato pattinamento per “far girare” un pò la moto con il posteriore e riuscire a mantenere il motore a un regime più alto già prima di rialzare completamente la moto.
In definitiva il sistema è molto professionale, ma al contempo viene incontro anche ai piloti meno esperti che possono così avvicinarsi alla pista con minori timori, il consiglio è quello di posizionare il sistema sul livello 6 e poi concentrandosi solo sulle traiettorie, sull’angolo di piega e sull’apprendimento della pista. Una volta acquisite le giuste traiettorie ed i punti di frenata si può scendere con il livello con ottimi riscontri da parte del cronometro. Il TCS risulta fondamentale anche nell’utilizzo su strada così come sul bagnato, interessante anche notare come in pista il suo intervento sia sempre più invasivo man mano che i pneumatici iniziavano a scaldarsi più nel necessario verso la fine del turno mattutino.
Impressionante infine il tiro del motore, che spinge con forza già da soli 4.000 giri per continuare senza eccessive variazioni di spinta in modo lineare fino agli oltre 14.000 giri indicati dal contagiri. Ottimo anche il comportamento delle nuove sospensioni, tra le più professionali e sofisticate tra le moto supersportive giapponesi oggi sul mercato, valido l’impianto frenante che regala una grande riserva di potenza, per avere una buona azione decelerante però in pista è necessario azionare con forza e fino in fondo la leva anteriore. L’impianto della R1 infatti a differenza di quello di alcune concorrenti (soprattutto italiane) non mostra una prima fase troppo aggressiva, ma si mantiene dolce e modulabile per tutta la sua corsa, ottimo quindi per la strada, meno per la pista soprattutto per quanti sono abituati ad un “attacco” molto aggressivo delle pastiglie sui dischi freno.

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Giovedì 14 Giugno 2012 - Ultimo aggiornamento: 16-10-2012 07:40 | © RIPRODUZIONE RISERVATA