
Le auto elettriche costano ancora il 25% in più, ma il 2025 è l’anno della svolta secondo Jato Dynamics
Le auto elettriche costano ancora troppo anche se il loro prezzo medio in Europa è sceso del 15% a fronte di una crescita del 7% per le vetture benzina e diesel, ma tra i due mondi esiste ancora una distanza del 25%. Lo afferma “il prezzo giusto dell’auto elettrica” studio di Jato Dynamics presentato in occasione dell’incontro organizzato a margine di “From 100% to 5%”, la prova di consumo e autonomia per auto elettriche giunta alla quinta edizione che si svolge sul Grande Raccordo Anulare di Roma.
Dunque un’elettrica costa un quarto in più rispetto ad una con alimentazione tradizionale, ma la distanza è destinata a colmarsi grazie al fatto che nel corso del 2025 saranno introdotti numerosi nuovi modelli a batteria nei segmenti A e B e con un costo inferiore ai 30mila euro. Il gap si è comunque già ridotto e non di poco visto che era del 36% nel 2023. Accanto a questo va comunque detto che il prezzo medio al dettaglio di un’auto elettrica è ancora molto: ben 67.058 euro, più alto dei 62.709 in UE, praticamente pari agli USA (62.044 euro), ma più del doppio della Cina (29.682 euro) dove le condizioni industriali, tecnologiche, di mercato e di sovvenzioni da parte dello stato hanno un peso determinante.
A questo proposito, come non ha mancato di sottolineare Felipe Munoz, senior analyst di JATO Dynamics, va detto anche che ci sono differenze significative anche per le auto prodotte in Cina e vendute anche in Europa: una Polestar 4 da noi costa 69.300 euro contro l’equivalente di 52.190 euro sotto la Grande Muraglia, la MG4 che in patria costa 18.245 euro qui è a 30.960 euro, la BYD Atto 3 passa 21.380 a 37.990 euro e una Cupra Tavascan da 32.614 a 54.990 euro. Alla base di queste differenze, oltre ai fattori già citati, ci sono anche politiche diverse sui profitti, in particolare da parte dei marchi cinesi che in questo momento possono permettersi margini elevati pur mantenendo un’elevata competitività.
C’è poi il fattore economie di scala: il 51% degli 11 milioni di BEV vendute nel mondo (contro i 9,8 milioni del 2023) sono cinesi contro il 22% delle americane, il 18% europee mentre il 3,3% sono giapponesi e il 4,6% coreane. Per la cronaca nel 2019, quando 11 milioni di elettriche (su un totale di 85 milioni), apparivano un traguardo impossibile, sono state 1,4 milioni le elettriche vendute nel mondo, 2,1 nel 2020, 4,4 nel 2021 e 7,4 nel 2022 dunque la crescita è stata rispettivamente del 50% e del 110% nel 2020 e 2021 dopo di ché si è scesi al 68% nel 2022, al 32% nel 2023 e al 12% lo scorso anno. Se dunque in Italia la penetrazione delle BEV del 4% contro il 13% nel mondo è un caso, è oggettivo che l’elettrico sta rallentando e deve cambiare passo.
Il prezzo e l’arrivo di modelli di dimensioni compatte sono sicuramente elementi fondamentali, soprattutto in Italia dove metà del mercato è fatto dai segmenti A, B e B-Suv. Ma qual è il prezzo gusto che il cliente è disposto a spendere per passare all’auto ad emissioni zero? Al momento una elettrica di segmento B costa in media poco più di 35mila euro, una si segmento A poco di più di 29mila euro. Jato Dynamics prevede che nel 2025 il prezzo giusto potrà essere di 27mila euro con una differenza massima rispetto alle vetture con motore a scoppio del 30%, spingendo l’elettrico al 5% del mercato. Nel 2026 si potrebbe scenderà a 24mila euro con un gap verso le auto a pistoni del 18% e una quota di mercato dell’8%.
Alessandro Lago, direttore di Motor1 e InsideEVs, ha affermato che «la varietà di offerta è la linfa del mercato» e che nel 2025, l’auto elettrica potrebbe beneficiare di condizioni favorevoli «ma resta il rischio che i pregiudizi, alimentati dal dibattito pubblico, rallentino la sua diffusione». Gianmarco Giorda, direttore generale di ANFIA, ha detto che «in Italia il 20% circa delle aziende della componentistica ha già investito nella produzione di componenti per veicoli elettrici. Occorre però lavorare per salvaguardare e accrescere la competitività della nostra filiera in un dominio tecnologico in cui, ad oggi, l’UE non è il player più forte».
Per Andrea Cardinali, direttore generale di UNRAE servono «un piano di sostegno alla domanda pluriennale, almeno fino al 2027, la revisione del regime fiscale delle auto aziendali, con interventi su detraibilità dell’IVA e deducibilità dei costi, da parametrare in base alle emissioni di CO2 e una politica mirata per lo sviluppo capillare di infrastrutture di ricarica elettrica». Per Francesco Naso, segretario generale di Motus-E «sui segmenti più alti di mercato la parità di prezzo con l’endotermico è a portata di mano, la forbice si sta chiudendo anche sui modelli di massa. L’auspicio è che questo trend venga accompagnato da politiche di supporto stabili, anche sulle flotte aziendali, e da azioni a costo zero che valorizzino l’impegno degli operatori della ricarica».