Rincari in vista con l’inizio del 2023, soprattutto per gli automobilisti. Il primo aumento è infatti quello del prezzo dei carburanti, che da nove mesi a questa parte gode della riduzione delle accise decisa prima dal governo Draghi e poi confermata, in parte, anche dall’esecutivo Meloni. L’orientamento è quello di non prorogare più lo sconto, portando ad un aumento automatico dei listini a partire dal primo gennaio. Il taglio è stato applicato per la prima volta a marzo di quest’anno con l’approvazione del decreto Ucraina bis. Sia per la benzina che per il diesel la riduzione è stata complessivamente di 30,5 centesimi, almeno fino a dicembre di quest’anno, quando con il dl Aiuti quater il taglio è stato prorogato fino al 31 del mese ma ridotto a 18,3 centesimi.
Nel frattempo i prezzi sono scesi, riducendo anche l’extragettito che aveva consentito al governo di ridurre le accise (e di conseguenza l’Iva che si calcola in aggiunta). Oggi, stando alle ultime rilevazioni settimanali del ministero dell’Ambiente, il prezzo medio nazionale della verde si attesta a 1,625 euro al litro, ovvero ai minimi da giugno del 2021. Il diesel è invece arrivato a 1,689 euro, cioè al minimo da poco meno di un anno, precisamente dal 31 gennaio 2022. In entrambi casi a livelli abbondantemente inferiori a quelli raggiunti dopo lo scoppio della guerra tra Kiev e Mosca.
A rischio ci sono però anche i pedaggi autostradali. All’inizio di ogni anno le tariffe vengono tradizionalmente aggiornate, ma da quattro anni a questa parte, dopo il crollo del Ponte Morandi, sono rimaste congelate. Il 2023 potrebbe registrare il ritorno agli aumenti, per la prima volta dal 2018. Le concessionarie hanno presentato le loro richieste di rimodulazione, attualmente al vaglio del ministero dei Trasporti e del ministero dell’Economia che dovranno tenere conto degli investimenti effettuati. Sul tavolo ci sono i Piani economico-finanziari delle diverse società che, come spiegato dall’Aiscat, sono però «attualmente a stadi di approvazione differenti».
Autostrade per l’Italia ha chiesto un aumento del 2%, le altre concessionarie percentuali anche maggiori, ma in generale, secondo l’associazione, gli incrementi tariffari medi proposti dalle concessionarie «sono assai inferiori rispetto a quelli già concessi in altri Paesi europei dotati di sistemi concessori e regolatori simili», come la Francia, dove l’aumento è del 4,7% e la Spagna, a +4%. Sul fronte bollette, gli aggiornamenti potrebbero invece essere contrastanti. Per l’elettricità l’Autorità per l’energia ha appena annunciato nel primo trimestre dell’anno un provvidenziale calo di oltre il 19%, ma per il gas l’andamento potrebbe essere opposto. In attesa della comunicazione dell’Arera a inizio gennaio, Nomisma stima un aumento mensile del 20% dovuto all’andamento dei prezzi internazionali di inizio dicembre. Il calo degli ultimi giorni, seguito alla decisione sul tetto al prezzo adottata da Bruxelles, dovrebbe infatti essere recepito, stando all’analisi del centro studi, a partire da febbraio.
Seguendo l’ordinanza del Consiglio di Stato sulle modifiche unilaterali dei contratti, il decreto Milleproroghe ha peraltro chiarito che in fase di rinnovo delle forniture le variazioni saranno possibili. Dopo il blocco disposto dal decreto Aiuti bis, per chi ha un contratto in scadenza potrebbero quindi arrivare rialzi dei costi di luce e gas, ancora bloccati invece fino a giugno 2023 per tutti coloro che hanno un contratto in essere. Il Consiglio di Stato si era espresso dopo il ricorso di Iren contro i provvedimenti cautelari dell’Antitrust, oggi confermati «parzialmente», sospendendo proprio le sole modifiche unilaterali delle condizioni economiche non in scadenza.