Prezzi dei carburanti

Benzina, ecco perchè il prezzo non scende. E c'è il rischio della nuova accisa per la crisi pandemica...

di Maurizio Caldera
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Il demone della pandemia strangola lentamente il Pianeta Terra, ora è la volta del petrolio. Soddisfatte fino a ieri per il calo dell'inquinamento, grazie al blocco di traffico e attività industriali, oggi si assiste al crollo delle borse perché, abbattendo drasticamente i consumi, è in stand by la domanda di “oro nero”, fino ad un prezzo di 20 dollari al barile in Norvegia (di norma viaggia tra 50 e 60), mentre negli USA è divenuto addirittura negativo, oltre 37 dollari sotto lo zero, cioè le società estrattive pagano perché qualcuno lo compri e lo porti via: sono pieni, infatti, tutti i depositi di stoccaggio sul territorio.

E in Italia il prezzo alla pompa scenderà?
Dovrebbe calare dagli attuali 1,4 euro al litro alla pompa, ma con un limite dovuto al nostro sistema di tassazione che ne impedisce la discesa al di sotto di uno stimabile 1,20/1,25 euro. A frenare la discesa dei prezzi intervengono, infatti, le accise.

Imposte su fabbricazione e vendita di prodotti di consumo, sono applicate in misura maggiore nei Paesi non produttori; e in Italia i carburanti devono affrontare un complesso di 17 accise, applicate e mai cancellate, che a tutt’oggi gravano sul prezzo finale. Con la motivazione ufficiale (incontestabile) che la combustione dei carburanti innalza il tasso di inquinamento, si è trovata una via per compensare le emergenze di cassa dello Stato, limitare le importazioni e ripagare i danni all’ambiente.

Se l’ultima accisa in ordine di tempo costa 2 centesimi al litro e va a compensare l’esborso statale dovuto al terremoto in Emilia del 2012, la prima ci fa pagare un tributo pari a 981 millesimi di euro (ma non è poco distante da un euro?) per le spese sostenute nella guerra di Etiopia del 1935! E ancora vengono caricate, sempre sul litro di carburante che il vessato automobilista si fa erogare alla pompa, grandezze simili per motivazioni che ormai dovrebbero essere “scadute” da tempo: nel lungo elenco figurano, infatti, la Crisi del canale di Suez (Egitto, 1956), il crollo della diga del Vajont (Italia, 1963), poi l’alluvione di Firenze del 1966, quindi i terremoti di Belice, Friuli e Irpinia. Ma non manca un’accisa per la guerra in Libano (1983) né per ripagare la missione in Bosnia (1996), con una “chicca” dedicata al rinnovo del contratto degli autoferrotranvieri, o una per l’acquisto di autobus ecologici. Poteva mancare (qui a ragione, magari stessero veramente ricostruendo) il terremoto dell’Aquila (2009)? Ed ecco, a chiudere il lungo elenco, un finanziamento alla cultura, uno agli immigrati giunti dopo la crisi libica, l’alluvione in Liguria e Toscana e, inutile attendere clemenza, il decreto salva Italia del 2011.

Aiutare l’Italia a rialzarsi dopo delle catastrofi naturali è integrato nel senso civico di ogni cittadino, ma sopportare ancora quasi un euro al litro per una guerra del 1936 non sembra eccessivo e poco corretto?

Accise a parte, la crisi attuale dei trasporti, in stretta relazione con la pandemia, sarà legata anche all’equilibrio di domanda e offerta del greggio perché, se circa il 60% del prezzo finale dei carburanti si deve alle accise, cioè ad una tassazione destinata a salvaguardare le casse dello Stato, in presenza di un minor consumo nazionale le cifre assolute di incasso saranno decisamente inferiori: attenzione che non si inverta la tendenza e non venga istituita anche un’accisa sulla crisi pandemica per compensare i minori introiti fiscali….

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Mercoledì 22 Aprile 2020 - Ultimo aggiornamento: 26-04-2020 11:56 | © RIPRODUZIONE RISERVATA
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