
Paolo Scudieri (Gruppo Adler): «Il Sud Italia ha anni di esperienza nel mondo dell’auto, un settore strategico per l'economia europea»
SORRENTO – Quando si accosta l’Italia al mondo dell’auto si pensa immediatamente alla Motor Valley, quella zona dell’Emilia Romagna dove hanno sede i produttori di supercar e le aziende che si occupano di motorsport. Ma non tutti sanno che nel Sud Italia è concentrato oltre il 34% delle imprese del comparto automotive. Non solo, nel Mezzogiorno si producono circa l’85% dei veicoli dell’intero Paese. Un patrimonio, quello della filiera dell’auto, che anziché essere salvaguardato sta subendo una forte crisi.
In occasione della quarta edizione del Forum “Verso Sud- La strategia europea per una nuova stagione geopolitica, economica e socio-culturale del Mediterraneo”, organizzato da The European House Ambrosetti, che si terrà a Sorrento il 16 e 17 maggio, tra i numerosi temi affrontati si parlerà anche del settore automotive. L’evento sarà l’occasione di mettere a confronto istituzioni, rappresentanti dell’accademia e della ricerca, oltre a figure dell’imprenditoria. Tra i partecipanti spicca sicuramente la presenza di Paolo Scudieri, CEO del Gruppo Adler, un’impresa fondata nel 1956 ad Ottaviano e ora presente in ben 23 paesi. Abbiamo avuto l’occasione di incontrare l’Ing. Scudieri per farci illustrare lo stato di salute della filiera dell’auto e i possibili scenari futuri.
Potendo avere una posizione privilegiata, qual è la sua visione del comparto dell’automotive nel Sud Italia?
«Il Sud Italia ha una capacità ormai consolidata nel trattare uno dei settori più competitivi e difficili come quello dell’automotive. Partendo dalla ricerca, passando all’organizzazione industriale, fino ad arrivare all’innovazione. La qualità del prodotto e le installazioni produttive oggi presenti nel Sud Italia rappresentano sicuramente gran parte della produzione nazionale, oserei dire la maggior parte della produzione italiana in termini di veicoli. Basti dire che la sola Panda, che è realizzata a Pomigliano, rappresenta il 40% dell'intera produzione italiana. A questa si vanno ad aggiungere le vetture realizzate a Melfi, in Basilicata, i motori prodotti al Sud Italia dove praticamente Prato la Serra, in provincia di Avellino, rappresenta a sua volta un emblema importante. Quindi l’automotive è un tema caldo: un dato su tutti, rappresenta circa 80 miliardi di Euro di gettito fiscale per la nostra nazione e per l'Europa oltre 400 miliardi di Euro di gettito fiscale con 15 milioni di addetti. Al netto di questi numeri, vuol dire che serve una strategia mirata sia dal punto di vista economico che di sostenibilità sociale».
Quali sono i punti di forza del settore automotive nel Sud Italia?
«Sono la capacità, il know-how e anni di esperienza, pensiamo a Fiat, poi FCA e infine Stellantis. L'intera area ha, inoltre, consolidato il rapporto con le università, con i centri di cerca e soprattutto un'attenzione particolare al potenziale dei giovani che sono evidentemente disponibili per una nuova formazione sul territorio del Mezzogiorno d'Italia».
Quali, sempre dal suo punto di vista, sono invece le criticità?
«Sicuramente le criticità sono principalmente rappresentate dal costo dell'energia, che fa la differenza sia con gli altri stati europei che con le aree cosiddette “low cost country”. Quest’ultime rappresentano, purtroppo, la meta più ambita da parte dei produttori. Un’altra criticità è rappresentato del rapporto tra il settore automotive con gli istituti di credito e le banche. È evidente che oggi è estremamente difficile finanziare tali aziende perché, in questo momento storico, sono viste come il brutto anatroccolo dell’economia europea. Questa è una visione errata e retrograda che, invece, dovrebbe cambiare perché l'auto è importante, non solo per l'economia delle nazioni, ma anche per l'evoluzione tecnica e tecnologica. Quindi bisognerebbe vedere i progetti futuri più che soffermarsi a guardare la fotografia del momento».
Secondo lei, quali sono le possibili soluzioni?
«È evidente che lo sforzo deve essere comune. Il settore automotive non può essere abbandonato perché è importante per l'economia europea. Le criticità sicuramente vanno superate e il governo, con le sue emanazioni finanziarie, dovrebbe almeno sopperire a quei gap che si palesano invece nelle valutazioni degli istituti di credito dettati “come alibi” dalle condizioni che BCE pone alle banche europee sulla finanziabilità di alcuni settori. È chiaro che dare capitali nel momento in cui tutto va bene è troppo semplice».
In particolare il Sud Italia come può rispondere?
«Il Mezzogiorno ha espresso chiaramente la propria competitività con la qualità e con il suo saper fare e il suo know-how. Le filiere, altro tema importante, vanno sempre più rafforzate e le competenze vanno intrecciare per offrire un prodotto tecnologicamente avanzato non solo in Italia ma valido anche per l’export».
Parlando di transizione ecologica, come può evolvere il settore considerando l’arrivo dell’auto elettrica?
«Il Fit for 55 ha imposto delle temporalità poco consone a una transizione così importante, ma soprattutto a livello mono-tecnologico a cui l'Europa si è voluta legare. Sicuramente ciascuno di noi vuole un mondo migliore. Parlo di mondo non a caso, perché fin quando la transizione è relegata all'Europa può essere addirittura penalizzante. La condivisione deve essere globale, perché sicuramente le emissioni di CO2, purché virtuose sulle attuali motorizzazioni, non hanno confini europei, ma arrivano da tutte le parti del mondo. Conosciamo il valore delle emissioni in Europa, che valgono appena lo 0,9% di quelle globali. Quindi dobbiamo innanzitutto comprendere quelle che sono le reali necessità».
Quale può essere la risposta dell’Europa e dell’Italia?
«Innanzitutto bisogna contrapporre tecnologie diverse per raggiungere lo stesso obiettivo. Gli attuali motori termici sono estremamente evoluti ed efficienti. Basti pensare che in soli dieci anni abbiamo abbattuto del 60% le emissioni di CO2, quindi il progresso non si è fermato, l'evoluzione tecnologica ha fatto la sua parte. Quello che dobbiamo fare è avere un importante know-how sui carburanti sintetici e sull'idrogeno, di cui l'Europa ha sicuramente un'avanzatissima area di applicazione e di innovazione. Questo equilibrerebbe i piatti della bilancia che oggi vedono l'elettrico come un'unica soluzione. Pur avendo enormi competenze per realizzare motori elettrici, il problema è a monte, ovvero dall’estrazione dei minerali per realizzare le batterie. Abbiamo spiegato largamente alla Commissione Europea quelli che sono i gap e le potenzialità».
Un altro aspetto da considerare è sicuramente in merito ai posti di lavoro..
«Certamente. Qualora l'endotermico dovesse essere abbandonato, cosa che io spero vivamente di no, è evidente che intere filiere rischiano di scomparire. Parlando di transizione equilibrata anche su una sostenibilità sociale, in questo caso il rapporto di perdite di posti di lavoro sarebbe emblematico con numeri stratosferici, parliamo di diverse decine di migliaia di disoccupati. Questo non fa bene sicuramente a nessuno e non fa bene soprattutto a una nazione, come la nostra, che rischierebbe di perdere in un attimo centinaia di anni di ricerche tecnologiche. Ripeto l'obbligo è non perdere la credibilità, il know-how, anni di cultura e di storia industriale. Con le dovute proporzioni, è come cancellare il Rinascimento italiano».
A tal proposito il Gruppo Adler vanta una storia ultra decennale, partendo dal Sud Italia fino a conquistare il mondo…
«Ad oggi siamo in 23 paesi con 110 stabilimenti. Abbiamo una capillarizzazione globale e come mi piace sottolineare siamo cittadini del mondo. La mia esperienza internazionale è iniziata nel 1995 con la prima installazione in Polonia a cui è seguita quella in Turchia e poi in Brasile. Un’evoluzione fatta di acquisizioni di competitor a livello internazionale che ci ha, evidentemente, poi portato ad avere una dimensione tale da poter conoscere pregi e virtù del mondo e di poter conoscere usi e costumi di popolazioni completamente diverse tra loro. Oggi vivono in modo felice all'interno del gruppo 13 religioni. Quando parlo di sostenibilità sociale mi riferisco all'evoluzione di una società che va d'accordo quando c'è il lavoro, quando si produce ricchezza, quando ogni popolo può essere unito nelle religioni negli usi nei costumi. Questo è sicuramente uno dei più grandi successi. Il mondo spesso si divide per motivi futili o per fattori spinti da interessi personali, chi produce lavoro e investe fa sì che i popoli si uniscano e che quelle ragioni, che molte volte sono idiosincrasie, diventano invece fattori coagulanti».
Soprattutto in questi anni vissuti tra alti e bassi, fra pandemia, crisi e guerre, è difficile mantenere una certa costanza e, a maggior ragione, crescere…
«Certo, fa parte di una volontà di impegnare risorse, capitali, di esporsi personalmente nella rappresentazione dell'azienda a livello globale. Tutti fattori su cui bisogna veramente crederci. Il mondo riserva ancora tantissime opportunità, penso a dei continenti ancora inesplorati dal punto di vista industriale: come il continente africano, ma anche la stessa India che rappresenta il futuro in termini di ricchezza mineraria, di potenzialità del mercato. Quindi bisogna partire da un nucleo forte per poter avere una visione globale ed essere affiancati da partner che condividano lo stesso approccio e la volontà di espansione. Il Mezzogiorno d'Italia, lo sottolineo, ha degli uomini eccezionali, ancora con il desiderio di crescere».
A tal proposito, sarà presente al Forum “Verso Sud”, l’evento che si terrà a Sorrento il 16 e 17 maggio, in cui si riuniranno imprese, istituzioni e anche rappresentanti dell'università. Come possono collaborare queste entità per uno sviluppo sostenibile e, soprattutto, per l’innovazione del Mezzogiorno?
«Innanzitutto ringrazio per l’invito, “Verso Sud” è un format accattivante e di successo che ha dato una chiave molto importante delle direttrici che mai così profondamente si erano espressi nel confronto del potenziale e dell'attualità del Sud Italia nel tema del manifatturiero e dell’impresa. È fondamentale la correlazione tra istituzioni e imprese così come l’istruzione, quindi la formazione dei giovani. Ma è altrettanto fondamentale il rapporto con le istituzioni bancarie per supportare, anche nei momenti di difficoltà e non solo nel successo, le aziende. È importante che l'impresa abbia sempre una porta aperta con le università e i centri di ricerca perché l'evoluzione è l'unicità dei prodotti possa essere appetibile sui mercati internazionali. Dico sempre che l'azienda deve essere un'orchestra ben diretta, dove nessuno ha una funzione secondaria ma tutti devono impegnarsi al massimo».
Come Gruppo Adler quali sono le iniziative che state portando avanti per il Sud Italia?
«I nostri stabilimenti, le acquisizioni che facciamo costantemente e, non per ultimo, la creazione di Borgo 4.0. Quest’ultimo è un progetto nel comune di Lioni, un paese dell’irpina quindi un’area interna della Campania, dove insieme alla regione abbiamo realizzato un borgo tecnologicamente attrezzato per mettere in relazione il territorio con gli autoveicoli. Una vera e propria Smart City: dai guardrail intelligenti, alle strade che dialogano con le app per poter dare sicurezza al pedone, ad esempio nell'attraversamento pedonale, passando per le auto a idrogeno, quelle elettriche, fino ad arrivare alle vetture con guida autonoma. Tutto questo per testare, in condizioni reali, tecnologie e soluzioni del domani. Queste devono essere metabolizzate e, solamente comprese le potenzialità, la popolazione può apprezzare la tecnologia appieno».
Può darci un'anticipazione dei temi che vorrà trattare in occasione del Forum “Verso Sud”?
«Innanzitutto la validità di un'area come quella del Mezzogiorno. La capacità delle sue filiere, attraverso la coesione professionale e della manifattura. La forza di generare economia che non si ferma solamente al Sud ma coinvolge tutta l’Italia. Infatti investire nel Mezzogiorno genera profitto e fa evolvere l’intera nazione. Inoltre le ZES (Zone Economiche Speciali) ricoprono un ruolo importante. Possono essere un’opportunità per rendere moderne e competitive anche i nostri territori».
Ha parlato molto spesso dei giovani, quale consiglio si sente di dare a coloro che vivono nel Sud Italia?
«Quello di credere nelle nostre aree. Queste, però, devono fare da trampolino di lancio. Mai legarsi solo ad un territorio, tutto il mondo ha del potenziale ed è interconnesso. Anche se il termine globalizzazione è passato di moda, dico che il mondo è comunque correlato e la parola chiave è diventa glocalizzazione. Spetta ai giovani, così come agli imprenditori, e alla loro volontà prendere le migliori opportunità dal mondo».