Una Jeep Wrangler in versione Nacho impegnata in uno dei percorsi del Moab 2018

Moab, il regno della Jeep. Ecco il raduno di fuoristrada più estremo e famoso del mondo

di Nicola Desiderio
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UTAH - Un nome che fa pensare alla Bibbia, alle montagne che delimitano la costa giordana del Mar Morto ed invece, per gli appassionati di fuoristrada, porta dritto nel cuore dello Utah dove, da 52 anni senza interruzioni, si tiene l’Easter Jeep Safari, l’evento che si chiude a Pasqua e per 9 giorni fa del piccolo centro dell’Ovest americano la capitale mondiale del fuoristrada.

Oltre 2mila partecipanti su decine di piste con un grado di difficoltà che va da 1 a 10 dove il 9, sulla rivista dei Red Rock 4 Wheelers – il club che organizza l’evento – viene definito «estremo e oltre» e la descrizione del 10 inizia con un eloquente «La carneficina può cominciare!» e chiude dicendo che «i veicoli di fabbrica modificati non saranno in grado di completare questa pista». Nei fatti, la più dura è la Pritchett Canyon Trail valutata 9 e dalla quale è praticamente impossibile uscire senza un danno seppure minimo. Quattro piste sono da 8 e portano nomi eloquenti come Cliff Hanger e Escalator to Hell. Questo è il selvaggio West e, se è vero che qui non è più sparatorie con gli indiani e saloon, non fa per i Suv e quei cittadini convinti che il fuoristrada sia poco più difficile di salire su qualche marciapiede. Poco più a Sud del fiume Colorado, Moab è su un altopiano che corre a 1.200 metri sul livello del mare, un enorme palcoscenico circondato da rocce rosse pronte ad incendiarsi all’alba e al tramonto, disegnate da un clima che può dispensare temperature che oscillano tra i 30 gradi sottozero d’inverno e i 45 gradi d’estate.

Bastano 30 miglia per raggiungere la prima Interstate: 3mila km a destra e si arriva a Baltimora attraversando 10 stati; a sinistra 5 ore e sei a Las Vegas, altre 5 e sei sulla spiaggia di San Diego. Qui il tempo e lo spazio si fondono con il silenzio, accarezzati da refoli di vento oppure attraversati dal rombo del fiume color terra, non per colpa dell’uomo, ma perché è un brodo di minerali: potassio, manganese, vanadio e persino uranio che per decenni rese famosa Moab nel mondo, soprattutto dal 1952 quando il geologo Charlie Steen vi trovò il giacimento più ricco degli USA. Oggi la miniera di Moab è il turismo e il suo nome viaggia nel globo insieme a quello di Jeep che ha scelto il Safari per farne l’antenna del suo spirito di avventura, da sempre illuminato da un paio di fari tondi separati da 7 feritoie. Neppure la nuova Wrangler ha rinunciato a questi elementi di stile che costituiscono il cordone ombelicale con il mitico Willys del 1941.

La quarta generazione della Jeep più Jeep che c’è mantiene anche altri capisaldi della tradizione come il corpo vettura squadrato con i parafanghi separati, le portiere smontabili, la ruota di scorta posteriore a vista, il parabrezza abbattibile in avanti e il tetto smontabile in due pezzi, per una sensazione “en plein air” degna dei “prairie schooner”, i carri usati dai pionieri per colonizzare la Frontiera. E poi c’è il corredo tecnico basilare per ogni fuoristrada che voglia definirsi tale ovvero il telaio separato dalla carrozzeria e la trazione 4x4 inseribile che, sulla versione Rubicon, può contare su un riduttore 4:1, i differenziali centrale e posteriore bloccabili e gli assali “heavy duty” che possono essere disaccoppiati per liberare tutta l’escursione della quale sono capaci. Per l’Italia i motori saranno un 2 litri a benzina “mild hybrid” da 270 cv e un diesel V6 3 litri da 260 cv che ha di serie il cambio automatico a 8 rapporti mentre per gli USA ci sarà anche un V6 3.6 da 285 cv. È stata la Wrangler l’attrazione principale all’interno della Old Spanish Trail Arena, lo spazio dove ogni anno si danno appuntamento oltre 200 costruttori di parti speciali per il fuoristrada.

Qui non è come in California, dove chi ha visto la Wrangler al Salone di Los Angeles immagina già di sfoggiarla di fronte ad un locale alla moda, ma si pensa già a quanto bisogna sollevare ancora l’assetto, a quali assali completi di mozzi e differenziali bisogna montare, agli ammortizzatori, a cosa modificare all’impianto di scarico e raffreddamento, a dove fissare roll bar, verricelli e strutture di irrobustimento per rendere questa cara vecchia attaccabrighe – questo vuol dire Wrangler in inglese – pronta ad affrontare le natura selvaggia di luoghi come questi. Non ci sarebbe potuto essere momento migliore per incontrala e trovare gli spunti giusti su come modificarla, prepararla e personalizzarla in vista del prossimo Easter Safari, perché una cosa è sicura: ci si rivede tutti il prossimo anno a Moab!
 

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Giovedì 3 Maggio 2018 - Ultimo aggiornamento: 04-05-2018 19:52 | © RIPRODUZIONE RISERVATA