NAPOLI - Tra le manifestazioni in programma nell’ambito del Napoli Racing Show, in programma nel weekend del 12-14 aprile, ce n’è una di particolare importanza per la città: l’inaugurazione di una nuova piazza intitolata a Mennato Boffa, indimenticato campione del volante che nel secolo scorso ha scritto importanti pagine di storia dell’automobilismo sportivo. L’appuntamento è alle 11 in cima alla collina di Posillipo, nel grande piazzale che fa da quadrivio tra la fine di Via Manzoni, il Viale Virgiliano, Via Boccaccio e Via Giovanni Pascoli, esattamente al centro di quello che fu, fino al 1962, il circuito del Gran Premio di Posillipo, nel quale Boffa s’impose nel 1960 al volante di una WRE-Maserati.
L’indimenticato campione del volante – vale la pena ricordarlo – è stato un napoletano d’adozione: nacque infatti il 23 dicembre 1929 (e fu poi dichiarato il 4 gennaio del 1930) a Benevento, salvo poi trascorrere i primi anni dell’infanzia a Vitulano (provincia del capoluogo sannita), prima di trasferirsi definitivamente a Napoli, sua città d’adozione, dove trascorse tutta la vita, fino alla morte avvenuta il 28 settembre del 1996. Proprio per questo alla cerimonia inaugurale di Piazza Boffa sarà presente, con il sindaco Manfredi e altre autorità cittadine, anche il sindaco di Vitulano, Raffaele Scarinzi, che pure ha dedicato una strada all’illustre concittadino.
All’inizio degli anni 60 Mennato ereditò dal padre, assieme al fratello Corrado, un’importante impresa commerciale nel settore degli autoricambi, e intraprese, parallelamente, la carriera di gentleman-driver fino a sfiorare il professionismo, esprimendosi al meglio con vetture della categoria Sport, soprattutto Maserati, e cimentandosi (senza troppa fortuna) anche in Formula 1, dove collezionò tre apparizioni al volante di una Cooper Climax.
Con le autorità cittadine saranno presenti alla cerimonia inaugurale il figlio di Mennato Boffa, Vito (anche lui con un passato nelle corse, fino alla Formula 3) e i nipoti Rosario e Giovanni. In forse la presenza della figlia Luisa (direttrice d’orchestra trapiantata in Liguria) e dell’altro nipote Enzo Rivellini, al quale si deve il pressing sull’amministrazione comunale per l’intitolazione della piazza al suo illustre parente, oltre che per ottenere il via libera al Napoli Racing Show, del quale è l’ideatore e il numero uno dell’organizzazione.
“Spero di farcela, ma temo che non potrò lasciare il ponte di comando allestito nei saloni del Tennis Club Napoli” ha detto l’ex europarlamentare con la passione per le corse e con l’”idea fissa” di contribuire a valorizzare l’immagine di Napoli attraverso manifestazioni di questo tipo. Di certo non mancherà, invece, una rappresentanza di “maseratisti”, tra i quali alcuni proprietari di vetture del Tridente, come Antonio Oliviero (l’organizzatore del Vesuvio Motor Show svoltosi lo scorso novembre del 2023 a Napoli Est), che sarà presente alla cerimonia con la sua Maserati MC20, magnifica supercar da 630 cavalli.
Le imprese di Mennato Boffa nell’automobilismo – vale la pena ricordarlo - hanno segnato un’epoca. Ha guidato Maserati e Ferrari, della scuderia del Cavallino è stato anche pilota ufficiale per qualche gara ed è rimasto suo il record sul giro del circuito di Posillipo, quattro chilometri di saliscendi lungo le strade della collina dove si disputava, come detto, il Gran Premio di Napoli, gara non valida per il mondiale ma di straordinaria importanza, non foss’altro perché nell’albo d’oro figurano i nomi di Tazio Nuvolari (all’epoca si chiamava ancora Coppa Principessa del Piemonte), Nino Farina, Gigi Villoresi, Franco Cortese, Alberto Ascari, Luigi Musso, Peter Collins, fino ai trionfi delle ultime due edizioni (1961 e ’62) firmati da Giancarlo Baghetti e Willy Mairesse con le Ferrari.
Il 15 maggio del 1960 il pilota napoletano trionfò nel gran premio di casa al volante di una WRE Maserati, la stessa auto con la quale si era imposto un anno prima l’inglese Tony Settember, precedendo al traguardo proprio Boffa, classificatosi quella volta secondo, al volante di una Maserati 200S, ma con la soddisfazione del giro più veloce in gara (1’27”), record per le vetture Sport rimasto imbattuto. La WRE (World Racing Enterprises) era una sorta di versione speciale della Maserati 200S, dalla quale si distingueva per la carrozzeria in alluminio, i freni a disco, il ponte posteriore De Dion e altri dettagli.
Record di Posillipo a parte, Mennato Boffa si mise in luce nelle gare su strada più prestigiose, dal Giro di Sicilia alla Targa Florio, dal Mugello alla Mille Miglia, al volante di vetture di tutte le categorie (turismo, gran turismo, sport). Cominciò con una 1100 nella cronoscalata Catania-Etna, poi passò via via ad auto più impegnative, come la Lancia Aurelia B20 che acquistò da Sandro Fiorio (il papà dell’ex ds di Lancia e Ferrari Cesare), alla vigilia di un gran premio di Napoli. Ma si mise in luce, soprattutto, al volante di Ferrari e Maserati.
Dopo una breve esperienza da pilota ufficiale del Drake di Maranello (corse il Giro di Sicilia ed il Gran Premio di Posillipo del 1957 con la Ferrari Testarossa), con la Maserati si laureò campione italiano nel ‘59 e nel ‘61, titolo replicato nel ‘64, dopo una pausa di quasi tre anni. Dapprima pilotò una datata A6GCS, successivamente passò al volante di una Birdcage, ultraleggera quanto potente biposto corsa così chiamata (in italiano gabbia d’uccello) per via del telaio costituito da un intricato impianto formato da circa 200 tubi di acciaio al cromo e al molibdeno. Nel suo curriculum anche un terzo posto nel Campionato Europeo della Montagna del 1960 e un titolo di vicecampione europeo nel ’61, dietro alle imbattibili Porsche.
In precedenza, come detto, Boffa si era guadagnato l’attenzione di Enzo Ferrari, il quale gli propose di partecipare alla Mille Miglia del 1957 con una 335S. Il Drake gli disse: “Lei finora è uno dei pochi che non ha avuto incidenti con la famigerata Maserati 1500, segno che è bravo e fortunato”. Da buon napoletano Boffa rinunciò per motivi – come dire? – scaramantici. E la macchina andò a De Portago, che – come tutti sanno - andò a schiantarsi a Guidizzolo provocando l’incidente che di fatto decretò l’abolizione della corsa più amata dagli italiani. Un retroscena, questo, sconosciuto alla storia dell’automobilismo. Ma il figlio di Boffa assicura: “E’ ciò che mi ha raccontato mio padre e non ho motivo di dubitare che sia andata così. Del resto ci sono tante cose che nessuno sa, per esempio che in quello stesso anno papà provò a Monza la Maserati 250F di Manuel Fangio, di cui era buon amico. E nessuno sa che una volta Enzo Ferrari disse ai giovani della sua squadra, Musso e Castellotti, “guardate le mani insanguinate di Boffa, che scende dall’auto per sistemare il parafango accartocciatosi contro un paracarro e capirete come ci si sacrifica per la macchina”.
Ma per quanto Mennato ci mettesse l’anima, non aveva però la vocazione al professionismo. Il gioco e la bella vita erano passioni non conciliabili con la disciplina di squadra. “Non so – ha raccontato con un filo d’amarezza il figlio Vito, in una intervista alla rivista Quattroruote di qualche anno fa – se papà abbia lasciato più coppe o cambiali. In una partita a carte al Caffè Gambrinus perse perfino una Ferrari GTO, una macchina che anni dopo un collezionista giapponese si sarebbe aggiudicato a un’asta per 13 miliardi di lire”.
Persa la grande occasione di diventare professionista, Boffa arrivò comunque ad alti livelli con le vetture Sport, fino a imporsi nel tanto amato gran premio di casa. Avvenne, come detto, il 15 maggio 1960 al termine di una corsa da batticuore. Dopo una partenza disastrosa, infatti, finì contro un albero e perse 40 secondi prima di ripartire. Ma aveva un asso nella manica: aveva imparato da Alberto Ascari a imboccare in quarta la curva che immetteva sul rettilineo dei box, e giro dopo giro recuperò lo svantaggio fino a sferrare l’attacco finale e vincere tra le ovazioni del pubblico.
Divenne uno specialista delle gare su strada e delle cronoscalate. E dopo il terzo e il secondo posto nell’Europeo della Montagna del ‘60 e del ’61, cominciarono a crescere le ambizioni, fino a puntare alla Formula 1. Grazie al pastificio D’Apuzzo e a Ferrarelle, antesignani delle sponsorizzazioni, Boffa entrò così in possesso della Cooper Climax con la quale l’australiano Jack Brabham si era laureato campione del mondo della massima categoria nel 1959. Ma quella monoposto onusta di gloria non gli regalò le stesse soddisfazioni di altre auto. La utilizzò per la prima volta a Vienna su un circuito ricavato da un aeroporto e per molti giri rimase incollato al leader della corsa Stirling Moss, però la macchina lo tradì negli ultimi due giri e dovette accontentarsi del quinto posto. Una lunga revisione in Inghilterra non diede i risultati sperati.
Deluso, Boffa si allontanò per qualche tempo dalle competizioni, ma nel ’64, come abbiamo visto, tornò a cimentarsi nella categoria Sport, laureandosi campione d’Italia al volante di una Maserati Birdcage un po’ malandata ma sempre efficiente. Furono quelli gli anni migliori della carriera, interrotta per ben tre lustri, fino al 1979, quando rimase “folgorato” da una corsa vissuta da spettatore a Misano Adriatico, dove gareggiava il nipote Enzo Rivellini. Seduta stante, decise di reindossare casco e tuta e di tornare a cimentarsi in pista.
Acquistò una Fiat Ritmo Gruppo 2 e ricominciò a frequentare gli autodromi, misurandosi con piloti di gran lunga più giovani, ma non più agguerriti di lui. Dopo qualche tempo fece il “salto di qualità” gareggiando nella categoria Sport con una Osella-BMW 2000: gran macchina, con la quale però non ottenne grandi risultati a causa delle difficoltà imposte dalla sua mole e dal suo peso eccessivo. Decise dunque, nel 1985, di tuffarsi nella “fossa dei leoni” del Trofeo Metro, campionato monomarca riservato alle piccole auto inglesi dell’Austin.
In quel periodò si cementò l’amicizia con Cosimo Turizio, il numero uno dei piloti napoletani della generazione successiva, arrivato – dopo eccellenti prestazioni nelle categorie Turismo (campione italiano classe 1300 nel 1972), Sport (nell’Europeo e nel Mondiale Marche) e Formula 2 – a sfiorare la Formula 1, per poi dedicarsi alle competizioni riservate alle auto storiche, gareggiando ai massimi livelli della categoria con una monoposto Hesketh simile a quella guidata da James Hunt (quarto nel Mondiale piloti del 1975).
Come Boffa, anche Turizio lasciò per qualche anno le corse per dedicarsi alla vela, sport nel quale pure collezionò molti successi. Ma, proprio come il suo predecessore, ritornò poi in pista, e molte furono le occasioni in cui i due anziani corridori si ritrovarono a gareggiare insieme, misurandosi con agguerriti piloti di nuova generazione. “Con Mennato Boffa – racconta oggi Turizio – si cementò una strana ma solidissima amicizia, fondata sul rispetto. Ci parlavamo dandoci del voi, ma eravamo uniti dalla sconfinata comune passione per l’automobilismo, uno sport che la nostra città ha onorato in passato con eventi straordinari come il Gran Premio di Posillipo e che oggi cerca di riscoprire con Napoli Racing Show e con un evento simbolico di grande valenza come la dedica della piazza a Mennato Boffa. Nel mio piccolo anch’io ho fatto qualcosa per onorare la sua memoria: gli ho dedicato la mia biografia intitolata “A un passo dalla Formula 1”.