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MODENA - Ingegner Forghieri, che sensazioni ha provato nel riportare in vita con Paolo Barilla la 312B?
«Un bel tuffo nel passato, con grande piacere. Non posso dire che era stata la mia macchina preferita, ma certamente una di quelle che all’epoca fece storia».
Lei era già il responsabile tecnico di Maranello?
«Ero stato assunto appena laureato nel ‘59 e dal ‘62 nominato direttore del Reparto Corse. Mi occupavo di sport prototipi e di F1 contemporaneamente».
Per quale motivo decideste di abbandonare lo sviluppo della 312 F1 che era stata utilizzata dal 1966 al ‘69?
«La ragione per cui avevamo pensato a una nuova macchina era semplice: volevamo e dovevamo rompere con il passato».
Perché?
«Negli anni precedenti avevamo dovuto arrangiarci con quello che c’era. Venivamo da macchine con motore anteriore. Il cambiamento al propulsore posteriore era stato diretto da Carlo Chiti. Aveva progettato una monoposto che aveva un mare di problemi. Purtroppo è sempre così quando si copiano gli altri all’ultimo momento».
Fu un lavoro difficile?
«Faticammo parecchio. A un certo punto la Ferrari capì che doveva fare qualcosa partendo in pratica da zero. Ci dicemmo: bisogna progettare una monoposto ex novo, non adattando sempre quelle che abbiamo, con materiale vecchio e degli errori che non puoi eliminare».
Uno degli interventi più importanti riguardava il motore.
«Certo. Sulla 312F1 avevamo un V12 cilindri a 60°. Era un’eredità, non si poteva spendere; era pesante, quindi la macchina era un po’ squilibrata. Pensate che in origine aveva le canne avvitate. Perché si muovevano... Si parlò di 450 cv, ma all’inizio ne avevamo molti di più 485 e alla fine della sua vita ne aveva 512».
Quindi avete optato per il V12 piatto.
«Si il boxer. Da qui la B della monoposto. Fu la mossa giusta. Tagliando di conseguenza con il passato, per fortuna progettammo un’auto completamente nuova. La studiammo, mentre la disegnavamo, persino per fare una trazione integrale. Poi questa soluzione venne proibita. Ma non danneggiò il progetto, anzi per certe cose ci aiutò. Optammo per il telaio semimonoscocca, con motore parzialmente portante».
Eravate certi di andare nella direzione giusta?
«In quel momento avevamo parecchi dubbi, devo ammetterlo, perché la 312B tagliò veramente con il passato».
Ma scese in pista e andò subito bene.
«Posso raccontare a proposito una storia che non dimenticherò mai. Il povero Chris Amon aveva già dato le dimissioni, se ne stava andando. Però chiese il permesso di provarla, perché ci aveva lavorato. Quando scese dalla vettura mi disse: Mauro, vado via nel momento sbagliato, sai la vita è così. Questa è un’auto che vi darà molte soddisfazioni. Era nata anche per merito suo. Fu l’unico a capirlo perché era anche un collaudatore eccezionale».