Milano, botte nel carcere minorile: «Gravi coperture dall’alto». Le risate degli agenti dopo i pestaggi

Per i pm «contributo omissivo e doloso» anche da parte dell’ex comandante Ferone

Milano, botte nel carcere minorile: «Gravi coperture dall’alto». Le risate degli agenti dopo i pestaggi
di Claudia Guasco
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Mercoledì 24 Aprile 2024, 00:35 - Ultimo aggiornamento: 25 Aprile, 09:31

Le botte erano così forti che a uscirne malconci non erano solo i detenuti minorenni, ma anche gli uomini in divisa che li «battezzavano». Lo raccontano le intercettazioni agli atti dell'inchiesta sulle presunte tortura al Beccaria, «un sistema consolidato di violenze reiterate, vessazioni, punizioni corporali, umiliazioni e pestaggi di gruppo realizzato dagli indagati appartenenti al Corpo di polizia penitenziaria», scrivono i pm della Procura di Milano nella richiesta di custodia cautelare che ha portato a tredici arresti.

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RESPONSABILITA'

C’era un «metodo Beccaria», affermano gli inquirenti, reso possibile dal fatto che chi avrebbe dovuto impedire la «rieducazione» dei ragazzi a pugni e schiaffi in realtà era complice. Una prassi che «ha avuto il suo principale fondamento nel contributo concorsuale omissivo e doloso di una serie di figure apicali, con posizione di garanzia effettiva nei confronti dei detenuti», sottolineano i magistrati nella richiesta, e tra questi c’è l’ex «comandante della polizia penitenziaria» Francesco Ferone, sospeso due giorni fa. «Ha consapevolmente agevolato e rafforzato le determinazioni criminose dei suoi sottoposti», scrivono i pm. Tant’è che gli agenti lo indicano come esempio di fedeltà: «Quanto avvenivano episodi spiacevoli», cioè i pestaggi, «lui ci salvava, invece il nuovo direttore fa sul serio», si lamentano tra loro.

Nel 2022 il Dipartimento per la giustizia minorile dispone quattro ispezioni nel carcere, l’ultima il 26 dicembre dopo l’evasione di massa. Le relazioni non sono lusinghiere, emerge «un generale degrado nei rapporti tra gli operatori del carcere e i minori», spiccano «profili rilevanti di omessa vigilanza da parte del personale rispetto a plurimi episodi violenti anche di natura sessuale accaduti tra i detenuti all’interno delle celle, con una frequenza temporale particolarmente significativa». Ieri il capo del Dipartimento Antonio Sangermano è arrivato al Beccaria, sono già iniziate le audizioni dei vertici dell’istituto, del personale della struttura e dei giovani rinchiusi per stilare un nuovo rapporto.

 

I pm hanno acquisito i resoconti precedenti, che insieme ai verbali dei detenuti picchiati, alle testimonianze della psicologa e della madre di un ragazzo, alle relazioni di servizio degli agenti «dolosamente omissive», alle immagini delle telecamere sostengono i «gravi indizi». E poi ci sono le intercettazioni dei poliziotti, nelle quali le botte paiono l’unico metodo per regolare i rapporti con i detenuti. Lo scorso 28 febbraio gli investigatori captano una telefonata tra l’agente M.C. e una collega. «Mi fa male la mano. C’ho la mano gonfia», si lamenta lui. E lei si informa: «Perché? Già hai battezzato a qualcuno?». M.C. conferma: quel giorno era capoposto del carcere e si imbatte in un altro agente che trascina giù dalle scale un detenuto per il collo, «quello che fa tutto il bulletto e cammina sempre con le mani in tasca, ha iniziato a sbattere forte al blindo alle otto meno cinque. Com’è arrivato in ufficio l’ho battezzato, il primo schiaffo è caduto sul divano, poi là non c’ho visto più, ho perso la pazienza». La collega è solidale: «E sì, ti credo!». Il giorno dopo, prosegue M.C., «ha iniziato a farsi i lividi in pancia e sulle braccia», piangeva e cercava aiuto, diceva a un agente «guarda cosa m’hanno fatto i tuoi colleghi, mi hanno preso in tre a calci e a pugni». Lei si indigna: «Che infame. Vergogna». Ma il ragazzo racconta la verità e a confermarlo è proprio M.C. «Quando gli ho dato due schiaffi e due pugni nel fianco mi si è gonfiata la mano, perché lui si è parato e con l’avambraccio gli ho preso il gomito - prosegue - Avrò sentito dolore e ho continuato a caricare ancora più forte, quindi mò mi fa male». La collega ride indicando la cura: «Ecco, un po’ di ghiaccio, un po’ di piselli freddi». E ride anche lui: «Sì, quelli ce li sto a mette».

ABBANDONATI

Le giovani vittime per ora identificate sono dodici, le indagini proseguono per accertare, sempre da testimonianze e segnalazioni, eventuali altri casi di abusi, sospette coperture e depistaggi nell’istituto per insabbiare l’operato degli agenti. Al vaglio anche la posizione dell'ex direttrice facente funzione Maria Vittoria Menenti, che al momento non risulta indagata. Ieri i sei arrestati si sono presentati davanti al gip Stefania Donadeo, uno si è avvalso della facoltà di non rispondere mentre cinque hanno raccontato di essersi sentiti «abbandonati a loro stessi», «senza controlli gerarchici né aiuto da parte della struttura, incapaci di affrontare le situazioni». Hanno riferito di essersi trovati a dover gestire i ragazzi detenuti senza un’adeguata formazione, loro stessi giovani, tra i 25 e i 35 anni, di prima nomina e con scarsa esperienza. Nessun aiuto da superiori o da altre figure. In certi casi avrebbero salvato vite, intervenendo per tentativi di suicidio o incendi appiccati nelle celle. In altri, invece, sarebbe loro «partita la mano come reazione», perché non riuscivano a controllare i minori. Domani nuovi interrogatori, da lunedì saranno sentiti gli otto agenti sospesi con misura cautelare.

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