Israele, morsa su Rafah. Bloccati i valichi degli aiuti

Attacco ancora in modalità “limitata”: «Pronti a fermarci, liberate gli ostaggi»

Israele, morsa su Rafah. Bloccati i valichi degli aiuti
di Raffaele Genah
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Mercoledì 8 Maggio 2024, 12:24

Il cingolato della 401ma Brigata corazzata arriva sul valico di Rafah alle prime luci del giorno. Le immagini postate dall’Idf mostrano la bandiera israeliana sul pennone che svetta dalla parte palestinese appena occupata e immediatamente chiusa al passaggio con l’Egitto che controlla l’altro lato e dista solo tre chilometri e mezzo da qui. Altri fotogrammi circolati in rete mostrano un altro blindato che travolge e distrugge la scritta rossa all’ingresso della città “I love Gaza” filmato da un militare malgrado i divieti imposti dai suoi capi. L’operazione Rafah annunciata, temuta, sconsigliata da molti attori internazionali, dunque è partita.

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GLI OBIETTIVI

Il bilancio parla di venti miliziani uccisi, di tre tunnel scoperti, di un’autobomba fatta esplodere prima che raggiungesse il suo obbiettivo. Colpito – rivela Al Jazeera – il quartier generale del governo locale della città. Ma quello che preoccupa di più è la chiusura di tutti i valichi, compreso quelli israeliani di Erez e Kerem Shalom. Da qui, attraverso la grande arteria della Salah el Din, (controllata anch’essa dai militari israeliani), transitano i camion con gli aiuti umanitari e il carburante ormai sufficiente per una sola giornata. «Devono riaprire il prima possibile» è la richiesta degli Stati Uniti che non mancano di far sapere di disapprovare l’ingresso nella parte meridionale della Striscia dove si accalcano un milione e quattrocentomila persone.

Un’operazione militare “limitata” si affrettano a definirla diversi rappresentanti del governo israeliano che si dicono pronti a fermarla, «essendo la priorità il rilascio degli ostaggi» come dice il ministro e capo dell’opposizione associato al gabinetto di guerra Benny Gantz. E il ministro della Difesa Gallant precisa: «Le operazioni continueranno fino alla distruzione di Hamas o fino al ritorno del primo ostaggio. Noi siamo disposti a scendere a compromessi pur di liberare i rapiti».

È proprio questa la ragione per cui i negoziatori israeliani – il capo del Mossad e quello dello Shin Bet e il capo del consiglio di Sicurezza– sono stati comunque inviati al Cairo per partecipare ai colloqui gestiti da Egitto, Qatar, e Usa, con il mandato di ascoltare, porre domande ma di non entrare nel merito del negoziato.

LA REAZIONE

La Casa Bianca ha espresso la speranza che Israele e Hamas possano colmare le lacune rimanenti nel difficile percorso negoziale. «Faremo il possibile per sostenere questo processo» conclude il portavoce del Consiglio nazionale di sicurezza John Kirby. Ma Washington rimane critica sulla modalità di esecuzione: la chiusura dei valichi per i rifornimenti degli aiuti da parte di Israele viene definita infatti «inaccettabile» dalla portavoce della Casa Bianca Karine Jean-Pierre. La scelta è stata votata in maniera unanime dal Governo di Netanyahu (e dunque anche dall’opposizione presente nell’esecutivo). Secondo le informative dell’intelligence infatti, il valico stesso, nella parte est della città, sarebbe stato usato per scopi terroristici, come confermavano anche i numerosi colpi sparati da Hamas proprio da quest’area domenica scorsa uccidendo quattro soldati nella zona di Kerem Shalom.

LE TRATTATIVE

A dare il via all’operazione, pronta da giorni, è stato il responso di Hamas sulla bozza di accordo preparata da Egitto e Qatar e in pratica approvata da Israele e Stati Uniti. I capi politici del gruppo terroristico, residenti a Doha avevano fatto sapere di aver accettato l’accordo, ma Israele ha immediatamente parlato di «imbroglio» al fine di ritardare l’imminente operazione di terra e di ributtare le responsabilità del fallimento, come ha scritto Hamas su Telegram, su «Netanyahu e il suo governo estremista».

Nel palazzo della Kirya, sede dei comandi militari israeliani nel cuore di Tel Aviv dove si era riunito il gabinetto di guerra, le quattro pagine arrivate dal Cairo del documento approvato da Hamas sono subito apparse diverse in alcuni dei contenuti concordati coi negoziatori egiziani. Innanzitutto non più trentatré ostaggi da scambiare nella prima fase – e con tempi prefissati– ciascuno con 20 detenuti nelle carceri israeliane, ma lo scambio sarebbe avvenuto con ostaggi «vivi o morti» (secondo le indiscrezioni il numero dei vivi non avrebbe superato i 18). Poi cambiava la proporzione dello scambio: i venti detenuti palestinesi da rilasciare per ciascun ostaggio, vivo o morto, diventavano 30. Lo stesso discorso per le soldatesse da liberare nella prima fase in cambio ciascuna di 40 detenuti che poi nella nuova versione redatta da Hamas sarebbero invece diventati 50. E nell’accordo che il gruppo jihadista si era detto pronta a sottoscrivere non era previsto il diritto di veto israeliano sui nomi dei detenuti che avrebbe dovuto liberare.

Duro il giudizio di Netanyahu: «La proposta di Hamas mirava solo a sabotare l’ingresso a Rafah. Non è successo. Due restano i nostri obbiettivi: il ritorno degli ostaggi e l’eliminazione di Hamas, non accetteremo nessuna proposta che metta in pericolo la sicurezza e il futuro dei nostri cittadini».

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