Aston Martin, Fernando Alonso sogna il terzo mondiale: «Nel 2026 l'ultima chance»
Valhalla, tra potenza e tecnologia da F1. Supercar Aston Martin a motore centrale e Phev: 1079 cv e 1100 Nm di coppia
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Le competizioni come la vetrina e la fucina di tutte le tecnologie e le emozioni che si possono guidare e ammirare su un’automobile stradale. Questa è la filosofia della nuova Aston Martin che oggi come non mai sta investendo nelle corse il meglio delle proprie risorse per farne il proprio tesoro tecnologico e di immagine, ma anche per riscoprire la propria essenza. La dimostrazione più eclatante è l’arrivo nel 2021 in Formula 1 dove corre con le sue monoposto, verniciate rigorosamente in british racing green, guidate da Lance Stroll e Fernando Alonso e motorizzate Mercedes (azionista per l’8,9%). In realtà si tratta di un ritorno visto che già nel 1959 e 1960 la casa britannica mise in pista, con scarsa fortuna, una monoposto denominata DBR4 e guidata da Maurice Trintignant, Roy Salvadori e Carrol Shelby.
Gli stessi piloti trovarono invece fortuna maggiore nelle gare di durata con la DBR1, vincitrice alla 24 Ore di Le Mans del 1959 con il duo Salvadori-Shelby seguito a ruota da quello composto da Trintignant insieme a Paul Frère. La guidarono anche altri assi del volante come Stirling Moss, Jack Brabham e Jim Clark e in quell’anno a Newport Pagnell, sede del marchio dal 1955 al 2003, arrivò anche il titolo Costruttori nel campionato Sport Prototipi. In seguito Aston Martin ha provato più volte a vincere a Le Mans, a cadenze regolari: a 30 anni dalla vittoria della DBR1 e poi fino al 1992 con la AMR1; a 50 anni nel 2009, con la B09/60 su telaio Lola e motore V12 ritentando anche per il biennio successivo. Buoni piazzamenti, ma nessuna vittoria. Aston Martin è riuscita invece a fare la voce grossa tra le GT con ben 19 vittorie di classe a Le Mans, dove è scesa in pista per la prima volta nel 1928, ma riuscendo ad arrivare al traguardo solo nel 1931 con una delle tre vetture schierate in gara e la vittoria nella classe fino ad 1,5 litri grazie a Maurice Harvey e Augustus “Bert” Bertarelli, nato a Genova e naturalizzato britannico. Un altro curioso caso che testimonia l’affinità elettiva tra Aston Martin e l’Italia. Aston Martin aveva anche scelto il 2019, a 60 anni dalla vittoria della DBR1, per annunciare il proprio ritorno alla massima categoria dell’endurance, ma si era rimangiata la parola con l’arrivo della nuova proprietà. Lo scorso ottobre il ripensamento e, dopo il rincorrersi di alcune voci, la conferma: la casa britannica torna nelle categorie maggiori delle competizioni di durata con una LMH (Le Mans Hypercar) derivata dalla Valkyrie e motorizzata con il V12 6.5 realizzato dalla Cosworth, capace di girare fino a 11.000 giri/min, ma senza la parte elettrica che le permette di superare i 1.000 cv nella versione AMR.
Per regolamento infatti deve farsi bastare 500 kW (680 cv) e la zona rossa e 10.000 giri/min. Il debutto è previsto nella classe GTP dell’IMSA con la 24 Ore di Daytona e, a seguire, nel WEC nel cui calendario è inserita anche la 24 Ore di Le Mans. A portare le Valkyrie LMH in pista ci penserà la scuderia Heart of Racing mentre nulla si sa ancora dei piloti, ma il primo nome che viene in mente quello di Fernando Alonso, vincitore nel biennio 2018-2019 di due 24 Ore di Le Mans e del titolo mondiale.