Hamilton, dietro ai trionfi c è Bono: l ingegnere di pista che ha lavorato con Schumacher

Hamilton, dietro ai trionfi c’è Bono: l’ingegnere di pista che ha lavorato con Schumacher

di Benedetto Saccà
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Box, box. Box, box. La voce, anzi, quella Voce, francamente è inconfondibile. Britannica come e più di 007, asciuttissima, calma, tranquilla, rilassante tipo un pacchetto disintossicante in una vasca sensoriale. Okey, Liuis... (la pronuncia è letterale, avrete capito). L’avete riconosciuta? È, semplicemente, unicamente, splendidamente, la Voce che guida e accompagna Lewis Carl Davidson Hamilton, anima buona e fuoriclasse assoluto della storia della Formula 1 e degli sport tutti, durante i Gran Premi, le qualifiche, le libere del venerdì, le corse in monopattino. È l’unica voce (o quasi) che gli parla via radio quando è al volante di Sua Altezza serenissima “La Mercedes-AMG F1 W11 EQ Performance” numero 44, in sei parole (e una cifra): la macchina di Formula 1 della Mercedes. L’unica voce (o quasi) che gli parla, a parte naturalmente quella dei fantasmi, che – a quanto pare – spesso e molto volentieri Lewis vede e sente dappertutto durante le gare. Ma ne riparleremo. Comunque. La Voce che guida Lewis mentre a sua volta guida appartiene in realtà a un signore, ovviamente inglese, che nella vita fa l’ingegnere di pista e si chiama: mister Peter Bonnington: per tutti, soltanto, unicamente, Bono.

A dispetto di quanto si possa frettolosamente immaginare, Bono non è una stalattite addormentata seduta lì nel garage a leggere numeri, a dettarli via etere e a ripeterli con l’entusiasmo divertito di una segreteria telefonica. No. Bono, insieme alla fatata Angela Cullen, è il perno della squadra di Hamilton: è il confidente tecnico, l’allenatore, il consigliere, il soccorso stradale, il carrozziere, lo stratega e all’occorrenza pure l’elettrauto del campionissimo dei campioni (talvolta il benzinaio). Letteralmente fa girare il mondo e la macchina di LH, che per essere esatti rimane sì una monoposto ma, grazie a Bono, a bordo non si resta mai da soli... Mai.

Va conosciuto un particolare. E cioè che Peter Bonnington lavora ormai da otto stagioni con Hamilton e, qualche anno fa, è stato anche l’ingegnere di pista di Michael Schumacher il Grande ai tempi chiaramente della Mercedes, vale a dire tra il 2010 e il 2012. Per cui è l’uomo che ha lavorato con entrambi i supereroi dell’epopea della Formula 1, tipi capaci di centrare sette titoli mondiale ciascuno ballando a 320 all’ora. Nonostante questo, e contro ogni logica apparente, Bono rimane umile e non si prende molto sul serio: e, in fondo, è una storia che dovrebbe insegnarci qualcosa.

Così Bono e Lewis, nel correre degli anni, hanno costruito un rapporto a prova di incidente termonucleare. Che sia una qualifica o un Gran Premio, non appena sale in macchina, Hamilton esegue con fiducia incrollabile la prova audio. «Radio check, Bono», «Forte e chiaro, Lewis». L’uno nelle mani dell’altro, da adesso. Non si vedono, ma si sentono. Cinque semafori rossi, cinque spenti. Comincia la follia su quattro ruote. È il delirio. 

Mentre Lewis si toglie i vestiti da Clark Kent e diventa Superman, Bono già ha la galassia sotto controllo. E, soprattutto, informa Hamilton su qualsiasi (ma qualsiasi proprio) dettaglio. Vento, sole, gomme, pioggia, consumo benzina, temperatura freni, temperatura motore, incidenza alette, telemetrie, distacchi dagli altri piloti (a dire il vero, con predilezione per Bottas e Verstappen). Ogni sfumatura immaginabile. E, insieme, correggono e migliorano. «Lewis, freni tardi alla curva 8». «Ora gestione benzina». «Max si è ritirato» (comunicazione piuttosto ricorrente, peraltro...). E poi, con la cura dell’orologiaio da otto generazioni, calibrano freni, mappature del motore (quando si poteva, bei tempi), gestione degli pneumatici, strategia dei pit stop, scelta delle mescole, e da brave simpatiche canaglie ingannano pure i rivali in ascolto discutendo di tattiche fasulle. 

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E, immancabile, a un certo punto, arriva teatrale e magnifico il segnale: «Box, box. Box, box». Momento melodrammatico: apnea e preghiere. Quattro gomme vie, quattro dentro, e ora si respira. Nel tempo di lettura di questa frase si è già consumato un universo. Due secondi e sette, nemmeno pochissimo...

E non è tutto. Perché Bono, anni e anni fa, è stato l’inventore del nome che oggi definisce i momenti di ciclopica furia agonistica di Hamilton. Dal nulla, un giorno, ha scolpito: «Okay Lewis, it’s hammertime». Eh già, l’hammertime – ovvero il momento di martellare, piallare e grattugiare qualsiasi vaga ipotesi di avversario – l’ha inventato Bono. Come ha coniato un altro motto decollato a portafortuna e in breve andato a stamparsi nella memoria collettiva dei tifosi di Hamilton. Dopo ogni pole position o trionfo, eccolo il grido strozzato dalla gioia: «Get in there, Lewis». Praticamente intraducibile in italiano, è un’espressione a metà tra il complimento e l’incoraggiamento. «Get in there, Lewis».

Alle volte, però, capita anche a Bono di sbagliare. A Hamilton no, visto che, come abbiamo detto, è un supereroe anche se non indossa il mantello. Bono invece sbaglia. Due volte in dieci anni, o giù di lì, ma gli accade. In Germania, nel 2018, prima indicò a Lewis di rientrare ai box, poi comandò il contrario quando la Mercedes numero 44 era già all’imbocco della pit lane. La comica sequela di «In in in in in...(dentro, dentro, dentro, ndr)» è ancora cliccatissima su YouTube. 

In più, giusto qualche settimana fa, in Russia, Bono tecnicamente non ha negato a Lewis il permesso di provare le partenze all’uscita della pit lane, e così i commissari hanno rifilato all’istante 10 secondi di penalità a Hamilton, che a ben vedere si è parecchio seccato: «Dove è scritto nel regolamento? Non voglio più informazioni, Bono. È ridicolo...». Anzi. «This is just ridiculous man», erano state le sue parole esatte. Poi, da decimo, è arrivato terzo. 

Al di là di trascurabili episodi scomodi, Lewis e Bono sono ottimi amici. Scherzano nel garage, dove Bono è sempre assiso (un po’ scomodo, a dirla tutta) a due passi dall’autorità intergalattica da Grand’ammiraglio di Toto Wolff, padrone e signore assoluto della Mercedes-AMG Petronas F1 Team, capace di incenerire con la supremazia di uno sguardo laser chiunque abbia la sventura di trovarsi nel raggio di un chilometro. Emette potere ed è fonte di energie rinnovabili, Toto. Altro che mister Wolf di Pulp Fiction, quello che risolveva problemi. Qui siamo al grado zero dell’errore umano. 

In Portogallo, lo scorso 25 ottobre, Bono è salito sul podio a ritirare il premio dei costruttori insieme al suo Lewis e a Bottas, che intanto sembra dedicarsi serenamente a un altro sport (domenica scorsa è stato doppiato da Superman, tanto per capirci...), eppure sarebbe ufficialmente il compagno di squadra di Hamilton. 

Nel 2019, al Gran Premio del Messico, Bono non ha potuto seguire Lewis e la Mercedes ed è rimasto a casa per un controllo medico. Superman ha vinto ugualmente, figurarsi, eppure una certa preoccupazione vagava nell’aria e negli sguardi ai box. Si mormorava di un’assenza più lunga. Grazie al Cielo, Bono si è ripreso in fretta e ha accompagnato il suo amico al trionfo mondiale. «Ho avuto Bono al mio fianco per tutto il tempo in questa squadra, e potete capire quale sia il nostro rapporto quando siamo in gara. Lui è fantastico nel gestire, perché c’è molto trambusto nel garage e tutti urlando “Digli questo” o “Digli quello”. Ma Bono sa cosa filtrare. È il miglior filtro. Si presenta sempre calmo e freddo», ha raccontato, qualche tempo fa, Hamilton. Fotografia perfetta.

E, del resto, senza l’aiuto drammaticamente essenziale di Bono, sfociato in purissima beneficenza, Lewis forse non avrebbe mai – e poi mai – vinto il Gran Premio di Silverstone lo scorso 2 agosto. Perché, tragicamente, e all’ultimo giro, la gomma anteriore sinistra di Hamilton ha deciso di autodistruggersi tipo millefoglie alle feste dei bambini, diventando una sorta di zavorra in grado di trascinare il pianeta in direzione inferno. Dramma. Paura. Smarrimento. Tra le tante cose, d’altronde, come i pazzi della F1 sanno benissimo, bisogna ricordare che Hamilton, già in condizioni di assoluta normalità, ha la bizzarra e destabilizzante consuetudine di vedere fantasmi danzare puntualmente sulla macchina. «I freni non vanno». «L’anteriore destra vibra». «Problemi in curva». Un disastro imminente, sempre. Non c’è scampo. 

Poi, in genere, provvede Bono a rimboccargli le coperte: sguardo ai monitor, regolazione, due parole di conforto e tutto rientra in ordine. Questa volta, però, a Silverstone, il fantasma c’era eccome, era ovunque e sghignazzava a bordo pista. Dramma vero, dicevamo. Allora, imbracciando la pazienza del vecchio zio che ne ha passate di tutti i colori, solo con la solita voce rasserenante da bio-sauna, Bono ha scacciato i fantasmi e ha riportato le pulsazioni di Lewis entro un margine di sicurezza: gli ha comunicato i distacchi (da tappone del Tour de France) su Verstappen, secondo, gli ha fatto intuire che anche questa volta avrebbero battuto insieme avversari e sfortuna, e insomma lo ha preso per mano e scortato al traguardo. Lewis, per un intero giro, non ha soffiato nemmeno mezza sillaba, tenuto in ostaggio evidentemente da un terrore raccapricciante. Stregato. Talmente estirpato dalla realtà e sconvolto che poi non ha nemmeno visto la bandiera a scacchi. 

Poi, mezzo commosso per aver vinto con tre/quarti delle ruote messe a disposizione dai regolamenti, è detonato in una festa a base di urla e schiamazzi, tutta chiaramente via radio con Bono. «Get in there». C’è mancato poco che cantasse tutta “We are the champions” in collegamento con Toto Wolff a un certo punto.

Insomma. Inseparabili sono Bono e Lewis. Perché dietro al supereroe si nasconde sempre il timido e fedele assistente, nascosto ai riflettori ma essenziale più del motore V6 turbo di Sua Altezza serenissima Mercedes-AMG F1 W11... Senza Bono, Hamilton forse – e ripetiamo forse – sarebbe un po’ meno un brutale cannibale delle piste. Senza Hamilton, Bono sarebbe soltanto l’ingegner Peter Bonnington: conoscerebbe comunque la macchina come il ripostiglio di casa, certo, ma non ballerebbe al centro della Storia che accade. E la conoscenza dei segreti fa dei due una coppia a prova di crisi – guarda un po’ – del settimo anno. 

Eppure. Eppure invidiamo Hamilton perché, ovvio, in realtà è Superman e prima o poi ce lo verrà a confessare. Ma pure perché ha un compagno di viaggio e un amico (modello Little John) come Bono, che alla fine di giornatacce zeppe di fantasmi, piogge, problemi di varia natura e drammi più o meno domabili, con la voce tipica di chi sta mettendo a letto i bambini, lo accoglie e sussurra: «Box, box. Box, box». Sottinteso: vieni qui, dai, tranquillo, ora risolviamo noi. Oppure scaccia via le sue paure in un nanosecondo, ribalta l’incredibile, suona la carica e indica la via del successo. «Okay Lewis, it’s hammertime». Si va a vincere. Avercene, così.

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Martedì 17 Novembre 2020 - Ultimo aggiornamento: 24-03-2021 00:16 | © RIPRODUZIONE RISERVATA