Graham Hill

Magico triplete: Le Mans, Indy e Mondiale
F1: solo Graham Hill ha trionfato ovunque

di Sergio Troise
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LE MANS - Vincere la 24 Ore di Le Mans vuol dire entrare nella storia: l’impresa regala fama imperitura e assicura un posto tra i miti dello sport. Perché? Forse per la capacità di esaltare la modernità e salvare la tradizione. La gara più lunga, più dura e affascinante del mondo è nata negli anni Venti, quando l’automobilismo non era uno sport, ma un’avventura da pionieri, i piloti erano eroi e il loro ardimento era considerato pari a quello dei primi aviatori.

Oggi le cose sono ben diverse: le auto sono gioielli di tecnologia, tutto è calcolato, testato, controllato fino al minimo dettaglio e i piloti si preparano in palestra e al simulatore. Ma intatto è il fascino della corsa che regala un brivido lungo 24 ore e dosi massicce di credibilità alle case automobilistiche: se Porsche è un mito dell’automotive, lo si deve anche al record di 16 vittorie a Le Mans, davanti all’Audi (13), alla Ferrari (9), alla Jaguar (7), alla Bentley e alla Ford (6), all’Alfa Romeo (4).

Ciò detto, vincere a Le Mans resta un’impresa in cui l’elemento umano gioca ancora un ruolo decisivo. Immaginarsi poi se le vittorie sono più d’una e se si sommano ad altri successi prestigiosi, come la 500 Miglia d’Indianapolis e il Mondiale di Formula 1. L’impresa, che i calciofili definirebbero Triplete, ma nell’automobilismo si chiama Triple Crown (Tripla Corona), è stata tentata da Mario Andretti, istriano naturalizzato americano, e dal canadese Jacques Villeneuve. Ma non ce l’hanno fatta. L’unico fregiatosi del virtuale ma prestigioso triplice alloro è stato l’inglese Graham Hill, campione del mondo di F1 nel ’62, vincitore a Indy nel ’66 e a Le Mans nel ’72. Una leggenda dello sport.

Il record di vittorie a Le Mans appartiene a Tom Kristensen, danese di Hobro, con 9 allori. Nome sconosciuto a chi non mette il naso oltre il recinto della F1 (dove il pilota nordico ha fatto comunque il collaudatore), ottenne la prima vittoria con la Porsche del Team Joest nella 24 Ore del ’97; poi i trionfi a raffica degli anni 2000, dominati guidando le auto del Gruppo Volkswagen, soprattutto Audi, ma anche la Bentley, tornata a vincere nel 2003 dopo oltre 70 anni di oblio per rinverdire i fasti degli anni ’20-’30.

A Kristensen, oltre che all’Audi (e alla Peugeot) si deve anche lo “sdoganamento” dei motori diesel, per non dire del salto nel futuro (ormai presente), con la tecnologia ibrida applicata alle corse. La carriera del pilota danese comprende, tra l’altro, un titolo tedesco di F3 nel 1991, subito dopo Schumacher, futuro re della F1, che da parte sua tentò l’impresa a Le Mans con la Mercedes, quando aveva 22 anni, stabilendo il record sul giro ma accontentandosi del 5° posto.

Diversa la vicenda sportiva di Jacky Ickx, campione del secolo scorso cimentatosi sia in F1 sia nelle gare endurance, per non dire delle trionfali avventure nella Parigi-Dakar. Due volte vice campione del mondo con le monoposto della massima categoria (1969 e 1970, con Brabham e Ferrari), il pilota belga ha vinto ben sei volte la 24 Ore, tanto da guadagnarsi l’appellativo di Monsieur Le Mans.

Formidabili le imprese nel ’75-’76-’77, quando vinse tre volte di seguito con la Porsche. Pilota completo, veloce e redditizio, ma anche responsabile e meticoloso nell’affrontare i rischi del mestiere, Ickx è ricordato per il plateale rifiuto di partire a piedi saltando in macchina e scattando al via senza allacciare le cinture, come voleva la tradizione. Così impose agli organizzatori di introdurre la partenza lanciata in nome della sicurezza.

Nell’albo d’oro dei più assidui vincitori della 24 Ore, dopo il campione belga c’è un terzetto composto dall’inglese Bell, dal tedesco Biela e dall’italiano Emanuele Pirro, tutti con 5 vittorie all’attivo. Romano, 54 anni, 12 partecipazioni alla maratona francese, Pirro ha tra l’altro vinto tre edizioni consecutive (2000-2001-2002), sempre con l’Audi, collezionando anche 4 terzi posti, un sesto e due ritiri. Un curriculum che ha impreziosito il valore della presenza italiana a Le Mans.

Fu Luigi Chinetti il primo italiano a vincere sul circuito della Sarthe. Accadde nel 1932. L’anno dopo toccò a Tazio Nuvolari, trionfatore in coppia col francese Sommer al volante dell’Alfa 8C 2300 Monza, l’auto regina di quel decennio, capace di inanellare una sequenza di 4 vittorie consecutive, dal ’31 al ’34. Delle 9 vittorie della Ferrari, invece, furono sei le consecutive, tra il 1960 e il 1965, prima che irrompesse la GT40, realizzata dalla Ford per vendicarsi del rifiuto di Enzo Ferrari di cedere la factory di Maranello agli americani. Anni ruggenti i ’60, regalarono tra l’altro ai nostri colori i successi della coppia Bandini-Scarfiotti (1963), e di Ninni Vaccarella (1964), in questo caso in coppia col francese Guichet.

Barilla, Baldi, Alboreto, Martini gli altri italiani vincenti almeno una volta, negli anni ’80-’90. In epoca più recente il nostro mattatore è stato Dindo Capello, recordman di partecipazioni (14), con tre vittorie: nel 2003 con la Bentley, nel 2004 e nel 2008 con l’Audi.

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Venerdì 12 Giugno 2015 - Ultimo aggiornamento: 15-02-2016 17:06