Jacques Villeneuve

Jacques Villeneuve: «Volevo Le Mans»
Anche al figlio di Gilles è sfuggito il trionfo

di Cristiano Chiavegato
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MONACO - Sempre fuori dalle righe. Da giovane ha vissuto sotto l’ombra del mito di suo padre, Gilles, il più amato dei piloti Ferrari, pur avendo vinto soltanto 6 gare con il Cavallino. Ma Jacques Villeneuve nel corso degli anni ha saputo costruirsi una carriera straordinaria, conquistando il Mondiale di F1 nel 1997, all’ultima gara, protagonista e vittima dell’incredibile speronamento subito da Michael Schumacher, dopo i successi ottenuti in America nel 1995 quando si impose sia nella “500 Miglia” che nel Campionato Cart. Una vita movimentata la sua: diverse fidanzate alle spalle, fra le quali anche la pop star australiana Dannii Minogue, 2 divorzi e 4 figli. Nel frattempo ha gareggiato un po’ ovunque e con qualsiasi macchina, dalla Nascar ai Truck, dal Rally Cross alle vetture sport-prototipo. Ora, a 44 anni, cerca ancora qualche ingaggio e si diverte nel ruolo di commentatore televisivo. Interventi brillanti, incisivi, a volte sarcastici e taglienti. Uno che, insomma, dice la verità o almeno quello che pensa. E racconta volentieri le sue avventure, come quella che lo ha coinvolto nella prestigiosa 24 Ore di Le Mans.

Come mai un pilota che ha fondato la sua carriera sulle monoposto, decide di correre nelle gare di durata?
«A dire il vero in certi periodi avevo anche guidato per la Toyota in alcune prove endurance. E mi era piaciuto. Poi non nascondo che avevo un obiettivo: quello di eguagliare il grande Graham Hill che era stato l’unico driver a vincere la “500 Miglia”, il Mondiale di F1 e la “24 Ore” francese. Mi aveva contattato la Peugeot che disponeva di equipaggi esperti e di vetture competitive. Ragion per cui accettai volentieri di fare quell’esperienza. E mi è piaciuto molto».

Ma la prima volta, nel 2007, le cose non andarono bene.
«In effetti fu così. Per quanto mi riguardava c’era tutto da imparare. Di giorno il sole negli occhi che ti accecava quasi poi la guida di notte, impegnativa, rischiosa. Ma mi piaceva, era quasi come una F1, ma potevi anche mettere la macchina di traverso e non c’era sottosterzo. E c’era anche il fascino di quel circuito con decine di migliaia di spettatori lungo tutto il tracciato. Con tante macchine in pista».

Cosa accadde? Perché il ritiro?
«Eravamo stati anche secondi e la vettura era velocissima, anche se la gara si presentava difficile, per gli incidenti e soprattutto per il meteo che cambiava in continuazione. Si passò molte volte dall’asfalto asciutto al bagnato, all’umido. Non era facile gestire le gomme e mantenere un ritmo costante, che è uno dei segreti per vincere. La Peugeot 908 disponeva di un’aerodinamica molto raffinata però se i flussi d’aria non erano puliti si poteva verificare un problema di surriscaldamento. Cosa che capitò quasi al termine della corsa, quando mancava poco più di un’ora alla bandiera a scacchi. Al volante c’era Marc Gené. Io aspettavo ai box. Lo vidi rientrare con la vettura che emetteva un preoccupante rumore. Infatti parcheggiò l’auto all’interno. I meccanici si affrettarono ad aprire il cofano e fecero un gesto che toglieva tutte le speranze di ripartire».

Nella seconda gara, l’anno dopo, potevate anche vincere?
«Sarebbe stato possibile. Eravamo i più veloci tenemmo un ritmo che ci permise di stare al comando per circa metà corsa. Tuttavia fummo rallentati da un paio di inconvenienti. A un certo punto, come spesso capita a Le Mans, cominciò a piovere. È vero che l’assetto della vettura era stato preparato sulle indicazioni di noi piloti, ma la squadra preferì non sistemare la macchina in modo da affrontare al meglio la pista bagnata. E questo ci fece perdere qualche secondo nei confronti dell’Audi che invece aveva scelto un set-up più adatto a quelle condizioni. Inoltre continuavamo ad avere problemi di surriscaldamento. Io chiesi più volte di intervenire nei pit stop per pulire i radiatori. L’operazione però costava qualche secondo di sosta in più e non venne eseguita. Malgrado le mie proteste. Per questo motivo, alla fine terminammo al secondo posto, con lo stesso numero di giri dei nostri avversari. Fu un vero peccato, difficile da digerire».

Con quel risultato, comunque gli equipaggi avrebbero dovuto essere confermati nel 2009. Invece la Peugeot decise di cambiare.
«Non fu un bel gesto. Venne modificato anche l’organigramma del team e, evidentemente, noi non risultammo simpatici ai nuovi arrivati. Fecero circolare la voce che non ci allenavamo abbastanza e che non partecipavamo ai test. Ma noi avevamo anche altri impegni. Fra l’altro nel 2008 avevo anche vinto la “1000 km” di Spa-Francorchamps. Quella decisione mi ferì non poco. Soprattutto mi bruciava il fatto di non poter più puntare al successo nella “24 Ore”, che onestamente era alla mia portata. Una gara che continuo a considerare fra le più affascinanti dell’automobilismo».

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Venerdì 12 Giugno 2015 - Ultimo aggiornamento: 15-02-2016 17:07