Dal K250 alla F850, dalla F3 all’Endurance, dalle Autostoriche alle Superstars, Gian Luigi Picchi, il pilota di Tivoli che nella sua carriera ha vinto anche un titolo Europeo Turismo con l’Alfa Romeo ufficiale, ha segnato le tante stagioni di Vallelunga.
«Il K250 era il trait d’union tra karting e automobilismo, nato da un’intuizione di Pederzani a metà anni sessanta. A Vallelunga si tenne una delle primissime gare organizzate proprio dai Pederzani. Erano stati invitati anche piloti che normalmente correvano con vetture Turismo come Eddy Swart, poi c’eravamo tutti noi che arrivavamo direttamente dal kart, accolti con un po’ di diffidenza dalla stampa specializzata per la nostra guida tutta in sbandata. In realtà, e ormai è storia, avevamo sviluppato una sensibilità di guida superiore a quella che poteva essere degli automobilisti normali. Il K250 andava guidato tantissimo, perché aveva l’assale rigido, freni di origine motociclistica, però era estremamente leggero con una trentina di cv e veloce in curva. Abbiamo fatto tante altre gare anche a Vallelunga, dove una volta ho fatto l’assoluto dell’intera manifestazione davanti alle Abarth 1000. Si girava sotto il minuto, e il record mi sembra fosse sui 59” conteso tra me e Giancarlo Naddeo. In una gara epica c’è stato un duello diretto tra noi due. Vinsi io, ma giravamo praticamente sugli stessi tempi.»
«Poi il passaggio alla Formula 850. A Imola avevo distrutto il mio K250 all’ingresso della Rivazza. La settimana successiva era in programma la gara di Vallelunga. Era presente Salvatore Genovese che mi offrì in prestito il suo. Lì è iniziato il rapporto di collaborazione. Salvatore aveva una sensibilità estrema nella messa punto degli assetti delle vetture, e un metodo di lavoro scientifico rispetto all’approssimazione di molti altri. Non lasciava nulla al caso e si riusciva ad ottenere il massimo del risultato in base al materiale di cui disponevamo. Inoltre aveva un grande esperienza di corse e dava dei consigli preziosi per un ragazzo che iniziava con l’automobilismo, che lo aiutavano ad evitare degli errori a volte elementari. Questo era Salvatore, un pilastro. E’ interessante ricordare che fu chiamato anche da Frank Williams che lo voleva nella sua scuderia quando fece il contratto con la Saudia, ma purtroppo a quell’epoca non se la sentì di affrontare la nuova avventura».
«Vinsi quella gara con la macchina di Salvatore. Poi, quando nacque la Formula 850 che da un punto di vista propedeutico era veramente valida, Gino De Sanctis costruì subito la sa vettura, poi al nord c’erano i vari Biraghi & Co. A Roma un certo Saponaro, che correva con lo pseudonimo “Robin Hood”, fece un accordo con Carlo Di Gaspare per realizzare un vettura, la Lucky, tutta con materiali Brabham. Inizialmente ne furono realizzati due esemplari, uno dei quali andò a Genovese che mi chiamò per guidarlo. Una macchina molto interessante, con cambio Colotti, motore intorno ai 70 cv, derivato dalla Fiat 850 Berlina. A Vallelunga sul circuito vecchio stile c’era Francisci che guidava la macchina ufficiale di De Sanctis e girava intorno ai 59”. Noi entrammo in pista con la macchina che non aveva mai girato prima, e al terzo giro segnai 1’01”. Claudio che canticchiava a mo’ di sfottò andò subito a telefonare al Sor Gino.»
«In effetti siamo subito diventati i competitor della De Sanctis. La prima gara sono partito alla grande, in effetti la partenza è sempre stata la mia specialità, ma poi ho seguito le indicazioni di Di Gaspare e mi sono fatto riassorbire, un errore, e arrivai secondo. Ma le altre le ho vinte quasi tutte salvo Monza, dove abbiamo rotto il motore. Questo alla fine del ’67. Cominciammo la stagione successiva vincendo le prime gare. A quel punto De Sanctis mi ha offerto la macchina ufficiale. Fu un errore, un torto che ho fatto a Salvatore, ma allora i budget non erano elevati e De Sanctis mi offriva tutto il materiale gratis… Per fortuna Genovese capì benissimo la situazione. Tant’è vero che poi passai con lui in F3. Aveva una Brabham, una F2 riadattata con il motore F3. All’epoca c’era a Roma Jonathan Williams, fece un’oretta di collaudi con questa macchina. Poi la guidai io. Era la fine del ’68, e al debutto sono partito in prima fila, insieme a Manfred Mohr con la Tecno, con la cui vettura ufficiale ho poi corso l’anno successivo, quando ho vinto il titolo».
«L’ultima gara decisiva a Vallelunga, una corsa epica con Vittorio Brambilla che è arrivato trenta metri dietro dopo sessanta giri tiratissimi. Per quella gara avevo preparato una soluzione di rapporti con seconda e terza molto vicine, una differenza di 700 giri. In questo modo se mi trovavo in testa potevo percorrere la Roma in terza, oppure in seconda se stavo nel gruppo. Sono partito in testa con dietro Brambilla. Dopo due terzi di gara all’uscita dal Semaforo ho messo la gomma sulla terra, mi sono allargato e Vittorio mi ha passato. Mi sono accodato, ma certo non mi dava strada. Anche se ero più veloce di due tre decimi non sapevo come passarlo. A un certo punto alla fine del rettilineo sono andato dentro in seconda, e quella soluzione di cambio che avevo preparato mi ha aiutato perché siamo usciti appaiati, lui all’esterno, io all’interno dove la traiettoria è più favorevole, sempre con la seconda, e all’ingresso della variante Vittorio è stato costretto a mollare… Gli ultimi giri furono lunghissimi. Le temperature erano sui 100°C, i piedi bruciavano, le braccia non ce la facevano più e non si respirava con tutti i vapori: non ne avevo più, alla fine sono rimasto sdraiato per mezz’ora. Fu solo una questione di testa e alla fine ce l’ho fatta».
«Passiamo alla nuova Vallelunga. Nel frattempo era stato ingaggiato dall’Autodelta. La CSAI aveva a disposizione delle macchine per il Gran Premio Madunina. Avevo una March 712 che rispetto alle F3 sembrava un aeroplano, anche se “sparecchiava” da tutte le parti. Mi sono subito trovato bene nella guida e nel misto recuperavo quello che si perdeva sul dritto. Nella prima ora di prove libere segnai il terzo tempo. C’erano tra gli altri Wilson Fittipaldi, che pure non andava forte come il fratello Emerson, e Francois Cevert. In gara sono partito credo in quinta fila. Alla fine ero quinto, dietro De Adamich, ma mentre lo stavo raggiungendo è finita la benzina…»
«Poi l’esperienza bellissima nelle 6 Ore Endurance con la Porsche di Georg Loos. Gran macchina, motore tremila aspirato quasi 300 cv. Alla terza o quarta ora eravamo secondi assoluti. Delle due Porsche turbo ufficiali ne era rimasta una sola. Prima di rientrare ai box per il rifornimento ho cominciato a sentire una vibrazione sull’anteriore. Nel tornare in pista, sfruttando l’esperienza acquisita nelle gare di durata con il piede sinistro azionavo il pedale del freno per una verifica. Uscito dalla corsia mi sono accorto che il pedale non rispondeva e si era accentuata la vibrazione. Ho continuato il giro di…ricognizione con lo stesso problema e allora sono nuovamente entrato ai box e lì ha ceduto di schianto l’anteriore sinistra perché si era rotto il mozzo! Pensare se si fosse rotto al Curvone… La seconda volta, proprio al Curvone mi si è aperto l’impianto antincendio… Ma, ripeto una macchina e un’esperienza fantastica!»
«Più recentemente le autostoriche, una volta con l’Alfa 2600 di Genovese, l’altra con la macchina di Peroni. Il 2.6 con il quale assieme a Gero ho vinto la 6 Ore era tutto motore, per il resto era inguidabile, anche se Salvatore l’aveva resa…accettabile, per il resto grandi freni e grande motore, ma era proprio un barcone, una balena. Ho guidato anche il Ferrari GTO di Violati. Bella macchina, sembrava una bicicletta, anche se carente di freni, perchè non avevano voluto montare il servo, però un motore infinito. Fantastica, fu facilissimo vincere la 6 Ore. Ricordo che ero un po’ intimorito dal valore storico ed…economico della vettura, ma Fabrizio mi disse “Ma no, non ci pensare, tanto i parafanghi non sono quelli originali…”»
«Infine, la Superstars. Avevo vinto al Mugello al debutto con la macchina laboratorio. Sette giorni dopo sono caduto in moto e ho dovuto rinunciare al resto del campionato e sono rientrato a Vallelunga. Al solito sono partito fortissimo, poi è arrivato Ascani e boom…sono finito nella sabbia ai Cimini e ho chiuso quarto».