RAPALLO - L’immagine della nautica italiana negli anni successivi alla grande crisi economica del 2008/2009 era quella di una barca in avaria, in balia delle onde, che nel tentativo di ritrovare la rotta veniva malamente sospinta verso gli scogli e messa nelle condizioni di non farcela (leggi provvedimenti punitivi del governo Monti). Sembrò a tutti un’impresa titanica evitare l’affondamento, rimettere quella barca in assetto e riavviarla sulla rotta giusta. Ebbene, in occasione del Satec 2018, tradizionale appuntamento annuale organizzato da Ucina Confindustria Nautica per fare il punto sull’andamento del comparto, è emerso con chiarezza che il peggio è definitivamente passato.
I segnali di ripresa degli ultimi tre anni hanno avuto conferme inequivocabili, il lavoro di raccordo con la politica ha dato i frutti sperati (l’approvazione del Codice della Nautica il più importante) e, dopo l’export (mai crollato) ora è in ripresa anche il mercato domestico, con riflessi positivi sui fatturati, l’occupazione e le prospettive di sviluppo. Il leasing – pensate – è cresciuto nei primi mesi del 2018 del 23%, con 149 contratti, per un valore di 186 milioni di euro (e già nel 2017 la crescita era stata del 58% rispetto al 2016).
Grazie al nuovo assetto normativo, che offre maggiori garanzie agli armatori internazionali, è in crescita anche il charter, con il Mediterraneo leader mondiale per il comparto. Per il futuro, poi, avanza il progetto d’introdurre nella piccola nautica il noleggio a lungo termine sul modello del boom registrato nel mercato dell’auto. Ne ha parlato Paolo Ghinolfi (amministratore delegato di Sifà, società del Gruppo Biper) illustrando agli operatori nautici i vantaggi che il noleggio può portare in termini di economie di scala legate non solo al prodotto, ma anche ai servizi, all’assistenza, alle assicurazioni.
Ma attenzione: la gente di mare sa che in navigazione si deve stare sempre in stato d’allerta: andare incontro al rischio di una eventuale buriana senza essere preparati può comportare guai seri. Lo sanno bene i capitani coraggiosi di Ucina, in testa la presidente Carla Demaria (appena designata al conferimento del Premio Bellisario per il management) e il vicepresidente Formenti, numero 1 dell’EBI (European Boating Industry). E infatti, in occasione dei lavori del Satec, hanno rammentato ai 120 presenti che «sulla ripresa in atto grava la seria minaccia dei dazi». Il timore è che le contromisure anti-Trump annunciate dall’UE finiscano col portare più danni che benefici.
Proprio per questo è in atto una vera e propria offensiva diplomatica da parte degli operatori italiani, ai quali si sono accodati molti dei colleghi europei. Lo ha ricordato Pietro Formenti, rivelando di aver scritto una lettera al presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani e ai parlamentari italiani presenti a Bruxelles, il cui testo è stato richiesto dai rappresentanti delle associazioni di categoria di altri Paesi, per copiarlo e inviarlo allo stesso indirizzo, in quanto idoneo a rappresentare gli interessi di tutti.
Nella lettera si legge che «oltre al sicuro impatto negativo che deriverà al settore dall’estensione alla Ue delle tariffe Usa su alluminio e acciaio, destra gravissima preoccupazione la proposta della Commissione di includere le unità da diporto fra i prodotti che potrebbero essere soggetti a dazi supplementari da introdurre nella Ue dal 20 giugno». Nell’occasione è stato ricordato anche che Ucina è stata interpellata dagli uffici del Ministero dell’Economia e delle Finanze per fornire una serie di elementi tecnici utili a completare la risposta che l’Italia ha inviato alla Commissione Europea . «E questa - ha fatto notare Roberto Neglia, responsabile dei rapporti istituzionali di Ucina - è ancora una volta la testimonianza concreta del riconoscimento da parte delle istituzioni del nostro ruolo a supporto di tutta la filiera».
Aldilà della questione dazi e dei rapporti internazionali, è al centro dell’attenzione anche la concorrenza di Paesi emergenti e della stessa Cina, che da paese esportatore di prodotti low cost è diventata ormai capace di realizzare anche prodotti hi-tech come pannelli solari o pale eoliche. «Per questo – ha ricordato Andrea Bianchi, in rappresentanza di Confindustria – il nostro Paese deve superare gli elementi di preoccupazione e rafforzare l’impegno su Industria 4.0. Le esperienze recenti hanno dimostrato che il premio fiscale a chi investe in innovazione paga. Sono ripresi gli investimenti e aumentate le produzioni, perciò ci auguriamo che il nuovo governo riparta da qui: la crescita delle imprese è stata dell’11%, e dunque non si deve ripartire da posizioni ideologiche ma dagli effetti di certe politiche».
La posizione espressa sull’opportunità di proseguire sulla rotta tracciata non farebbe una piega se dai lavori del Satec non fosse emerso, con drammatica evidenza, un dato sconcertante e paradossale: il boom di investimenti per la crescita legato al piano governativo Industria 4.0 ha interessato per il 95% il Centro-Nord e per il 5% il Centro-Sud. Ne viene fuori il quadro di un’Italia spaccata in due, con punte drammaticamente negative in Sicilia (0,1%), Sardegna (0,2%), Campania (0,8%), Abruzzo (1,2%). Che fare?
Dai lavori svoltisi a Rapallo è emerso che per porre rimedio a questa situazione la nautica può fare molto se riesce a coinvolgere tutta la filiera che ruota attorno alle barche e al diporto, a cominciare dagli investimenti sulla sostenibilità e la salvaguardia ambientale, ma anche sfruttando lo straordinario potenziale del turismo nautico, dei servizi e delle sinergie tra l’entroterra, i porti e le marine.
In proposito è stato ricordato che il Mediterraneo è di gran lunga il mare più battuto dai grandi yacht e che gli operatori del charter nautico preferiscono l’Italia alla Grecia, alla Francia e alla Croazia, che qualche tempo fa sembravano imbattibili. Secondo gli esperti le mete preferite sono il golfo di Napoli e le sue isole, con punte record a giugno e settembre, la Costa Smeralda e la Sicilia, mentre Venezia è penalizzata dalla lontananza e privilegia il turismo delle navi da crociera. Nel nostro Paese, inoltre, vanno meglio anche le vendite di barche e la fornitura di servizi. Come è stato possibile? Gli esperti presenti alla convention di Rapallo lo hanno spiegato molto chiaramente.
«L’Italia – ha detto Alex Mazzoni, Ceo di SOS Yachting (società con una lunga esperienza in tema di fiscalità per il charter) - è stato il primo paese che nel 2012 ha applicato la riforma dell’IVA per il charter, introducendo la figura del rappresentante fiscale, addetto a pagare per conto delle società armatrici l’imposta esclusivamente sui servizi e non su altro. Non è una esenzione, ma è una regolamentazione equa e chiara, che non trova riscontri in altri paesi. In Francia, ad esempio, sono previste due aliquote, dentro e oltre le 12 miglia, e molti operatori del charter preferiscono portare in Italia i loro clienti, gente che per le proprie vacanze può spendere senza battere ciglio anche 200.000 euro e più. Nell’ultimo anno ho stipulato 680 contratti di assistenza fiscale e credo che gli introiti di cui ha beneficiato lo Stato italiano siano stati più che soddisfacenti».
«E’ importante – ha detto da parte sua la presidente di Ucina Carla Demaria – che anche i nostri nuovi governanti si rendano conto che noi della nautica non siamo un club di evasori fiscali ma un settore importante per il Paese, che occupa 70.000 addetti e può generare ulteriore sviluppo, sfruttando al meglio anche l’attuale congiuntura positiva, che coinvolge tutta la filiera e l’indotto».
Secondo la numero 1 degli operatori nautici aderenti a Confindustria, aldilà della crescita del mercato, va sfruttata al meglio anche l’opportunità offerta dai problemi che si registrano in paesi nostri concorrenti, come la Francia, la Spagna e la Croazia, «che stanno vivendo – ha tenuto a ricordare Demaria - una crisi molto simile a quella provocata in Italia dal decreto Monti, quando 40.000 imbarcazioni lasciarono il nostro paese».
Oltre i nostri confini è in atto, infatti, una vera e propria caccia alle streghe, con un accanimento fiscale nei confronti della nautica e dei diportisti che ha provocato rincari delle tasse fino a otto volte. «In Italia, invece – ricorda ancora Demaria - grazie alla riforma varata dopo tre anni di tavoli tecnici con tutti i ministeri interessati, ora la bandiera italiana è attrattiva per tutti; il nuovo Codice della nautica è realtà e per l’approvazione dei decreti attuativi abbiamo tenuto i contatti con i funzionari ministeriali anche nel periodo di ordinaria amministrazione del governo uscente».
A sottolineare ulteriormente i meriti acquisiti in questi anni di rincorsa, la presidente degli operatori aderenti a Ucina ha tenuto a ricordare anche l’impegno profuso per contribuire a risolvere il problema del “piccolo charter”, scongiurando l’iniziativa di alcuni comandi che volevano introdurre la figura del capobarca (una sentenza del Tar ha cancellato ogni dubbio, ndr). E ancora: l’Ucina è ora impegnata sul fronte “patente nautica”, che secondo una corrente di pensiero dovrebbe diventare obbligatoria anche per la conduzione di natanti con potenza di appena 40 cavalli. «Sarebbe sbagliato, e speriamo che i nuovi governanti non facciano errori che ci costringerebbero a ripartire da zero dopo tanti sacrifici fatti per riprenderci” – ha concluso la Demaria, aggiungendo con fiducia: «Sono certa che ci daranno ragione».