Una foto d'epoca della Fiart Conchita, la prima barca in vetroresina

NauticSud, premiato Ruggiero Di Luggo (Fiart): l’inventore delle barche in vetroresina

di Sergio Troise
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NAPOLI - Fiart Mare sarà presenta al 44° Nauticsud con alcune delle sue barche più recenti, in testa l’entry level Seawalker, natante di 33 piedi che ha legato il successo allo sviluppo del charter a breve e lungo termine, nell’occasione in livrea grigio scuro con tappezzeria verde carico. Impossibilitati ad esporre nel salone di casa il nuovo 52 (la novità vista in anteprima a Genova 2016 è stata leggermente corretta nello stile, con l’abbassamento del tetto rigido, ma è troppo grande per gli spazi del Nauticsud), i responsabili del cantiere affiancano al Seawalker il Fiart 44, cabinato veloce sul quale sono state concentrate gran parte delle più recenti innovazioni stilistiche e tecnologiche.

Ma il Nauticsud 2017 rappresenta per Fiart un’occasione speciale, in quanto gli imprenditori della ANRC (Associazione Nautica Regionale Campana) hanno deciso, in occasione del Salone, di assegnare a Ruggiero Di Luggo, fondatore del cantiere, un premio come pioniere della nautica che nel 1959 produsse, primo in Europa, una barca in vetroresina. Era la piccola Conchita di 3,60 metri, un guscio di plastica grazie al quale venne rivoluzionato il modo di costruire le barche e di andar per mare.

Oggi novantenne Cavaliere del Lavoro, Di Luggo conserva una straordinaria lucidità. Si definisce senza falsa modestia “l’inventore delle estati italiane”, e ricorda con precisione tutti i dettagli legati a quella rivoluzionaria scoperta e alla produzione della piccola Conchita.

«Ancora oggi – confessa - quando guardo le foto in bianco e nero dell’epoca mi viene un fremito di tenerezza. C’è una immagine che ritrae la nostra 600 aziendale, targata NA 127132, con logo, indirizzo e numero di telefono e, sul tetto, su un portabagagli un po’ precario, c’era lei: Conchita. Era il gennaio 1960, o forse marzo, non ricordo. Ricordo invece bene tutto quello che era successo poco prima: avevo realizzato la prima barca in vetroresina in Europa, una specie di pioniere di un settore che all’epoca non era nemmeno il mio».

Di che cosa si occupava prima di dedicarsi alle barche?

«Avevamo una impresa di costruzioni. Ma nel 1959 entrò in vigore la legge Tupini che offriva sgravi fiscali, contributi e incentivi a chi apriva una nuova impresa. Pensai che oltre all’attività principale di costruzioni che già avevamo, era il momento di inventarsi qualcosa di nuovo».

Quanti anni aveva?

«Avevo 34 anni ed ero pieno di idee e di sogni. Pensavo che ogni famiglia italiana, con la nostra invenzione, avrebbe potuto avere la barchetta, grande come la propria macchina. Una barchetta leggera e resistente, facile da trasportare, poco costosa. Non più un bene di lusso, ma qualcosa alla portata di tutti. La 600 o la 500 per attraversare le città e la Conchita per attraversare il mare davanti all’ombrellone. Avevo capito che il boom economico era alle porte e cosa c’era di meglio che regalare a tutti il sogno di una barchetta per tutta la famiglia?”

Dove nacque il progetto?

«A Napoli, nella sede del Corso Vittorio Emanuele dove c’è ancora il mio ufficio. Lì nacque la Fiart, che vuol dire Fabbrica italiana applicazioni resine termoindurenti. Poi la produzione fu avviata fuori città, a Baia, dove ancora oggi si trovano i capannoni».

Dove venne presentata la Conchita?

«Nel 1961 non esisteva ancora il Salone di Genova e la fiera della nautica si svolgeva a Milano. Mia moglie ed io caricammo quattro esemplari di Conchita su un camion e li portammo alla Fiera di Milano. Lo spazio che avevamo affittato però era minuscolo e non c’era posto per esporre in orizzontale tutte e quattro le barche. Decisi di attaccarne due al soffitto e di farle scendere in verticale così da poter almeno accompagnare i visitatori nel nostro piccolo stand».

Come fu il riscontro del pubblico?

«Buono. Ma all’inizio era strano essere lì, tra grandi aziende, cantieri famosi, mastri d’ascia che realizzavano veri e propri gioielli tutti rigorosamente in legno, con quel piccolo e semplice guscio dal nome spagnoleggiante. Eppure funzionò. La gente si interessava, chiedeva, immaginava per la prima volta, dopo i disastri della guerra e le fatiche del dopoguerra, che una barchetta fosse un desiderio possibile. Il primo anno ricevemmo 60 ordini, tutti consegnati».

E la concorrenza come reagì alla novità?

«Tutti si chiedevano: ma chi è questo matto napoletano che fa barche in plastica? Chi è questo di Luggo che si è inventato la mescola della fibra di vetro con le resine termoindurenti? Cosa vuole questa fabbrichetta che si chiama Fiart? Alle grandi aziende della plastica e della nautica, quel piccolo grande successo non era sfuggito. E allora iniziarono a copiarci. C’era la Pozzi, che costruiva ceramiche e servizi igienici, che tentò di aprire una linea per costruire barche. C’era la Pirelli che voleva una alternativa alla gomma. Poi altri. Ma non era un business facile. C’era entusiasmo iniziale ma non riuscivano ad andare avanti. Noi invece siamo andati avanti, e oggi Fiart Mare è un’azienda leader nella nautica da diporto».
 

 

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Sabato 18 Febbraio 2017 - Ultimo aggiornamento: 17:26 | © RIPRODUZIONE RISERVATA
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