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GOODWOOD – Far rivivere un’auto che non è mai esistita, se non sul tavolo da disegno di chi l’ha pensata e progettata, sembra essere diventato lo sport di chi ha, fortuna sua, una grande tradizione che oggi può essere spesa in termini di immagine. E così, dopo la Lotus 66, ecco la Auto Union Type 52, la supercar immaginata e progettata da Ferdinand Porsche alla metà degli anni ’30 partendo dalla Type A, conosciuta internamente come Type 22, l’auto da corsa con motore V16 che il futuro fondatore della propria casa automobilistica aveva sviluppato per il costruttore che nel 1932 aveva riunito sotto il proprio ombrello Audi, DKW, Horch e Wanderer. L’Audi l’ha realizzata e portata al Festival of Speed di Goodwood per riscoprire un patrimonio ideale in vista del debutto della propria monoposto di Formula 1 nel 2026.
La Type 52 era anche nota internamente come Schnellsportwagen ovvero auto sportiva veloce e, sfruttando come base una delle auto da corsa più veloci del suo tempo, doveva esserlo davvero, ancora di più perché l’avvento del nazismo spinse ulteriormente quell’industria e quelle attività che potevano dimostrare la potenza tecnologica, industriale ed economica della Germania. A questa logica non fu estranea in quegli anni neppure la Mercedes che, insieme alle Auto Union, dominò le competizioni fino allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale dapprima con la W25 e poi con la W125, anche questa frutto dell’ingegno di Ferdinand Porsche, insieme alla successiva W154.
L’Auto Union Type A era nata secondo il regolamento in vigore dal 1934 al 1936 e che prevedeva un peso minimo di 750 kg senza limiti di cilindrata, frazionamento e potenza. Ne vennero fuori mostri passati alla storia dell’automobilismo in anni nei quali le stesse auto da corsa correvano in pista così come su strada ed era operazione abbastanza consueta prenderne la meccanica (e non solo) derivandone vetture che, carrozzate in modo diverso e meravigliosamente creativo da parte dei grandi carrozzieri, circolavano poi per strada alimentando il mito della velocità attraverso i cosiddetti gentleman driver. Oggi le chiameremmo “street legal” mentre al giorno d’oggi è assai più frequente che da sportive stradali vengano derivate vetture da corsa che poi corrono nei diversi campionati GT.
La Type 52 era una di quelle auto da corsa ed era, citando un motto caro ad Audi che raccoglie direttamente l’eredita storica e grafica di Auto Union – il logo era quello dei Quattro Anelli, come quello odierno della casa di Ingolstadat – davvero all’avanguardia della tecnica. La Type A infatti era mossa un monumentale motore V16 da 4.438 cm3 con bancate a 45 gradi, ciascuna con un albero a camme che agivano direttamente sulle valvole di aspirazione mentre quelle di scarico erano azionate da aste e bilancieri. L’alimentazione avveniva grazie a 4 carburatori e un compressore volumetrico Roots, erogava 295 cv a 4.500 giri/min. Il carburante, come tutte le vetture da corsa dell’epoca, era una miscela di alcool, etere, benzolo e altre sostanze per raggiungere un elevato numero di ottano e raggiungere, grazie ad elevati rapporti di compressione, potenze più elevate senza battiti in testa e superare i 300 km/h.
Il V16 aveva la lubrificazione al carter secco e il raffreddamento funzionava sfruttando come condotti i tubi del telaio del peso di soli 59 kg. Il cambia a 5 rapporti era anch’esso una primizia e nel 1935 fu montata anche un’ulteriore innovazione: il differenziale autobloccante. La carrozzeria era in lega di alluminio, pesava 45 kg ed sfruttava un attento studio aerodinamico, con una forma che ricordava la carlinga di un aereo e le carenature per i bracci delle sospensioni. Quest’ultime poi erano indipendenti sulle 4 ruote mentre contemporaneamente le varie Alfa Romeo, Ferrari e Maserati adottavano ancora ponti rigidi per entrambi gli assali. Tante caratteristiche rivoluzionarie alle quali se ne sommava un’altra fondamentale: la posizione del motore alle spalle del guidatore. Una soluzione che i costruttori inglesi avrebbero fatto propria alla fine degli anni ’50, a partire dalle piccole Cooper, dimostrandone la superiorità e costringendo tutti a seguirne le orme tecniche.
Insieme alla Type C, Ferdinand Porsche aveva messo sui suoi tavoli da disegno un altro foglio per un progetto complementare: una stradale derivata dall’auto da corsa definita appunto Schnellsportswagen e conosciuta internamente come Type 52. Il progetto però fu abbandonato nel 1935 e non ci sono prove che la vettura fosse stata realizzata almeno in parte, ma alcuni disegni sono stati recuperati e affidati dall’Audi alla Crosthwaite and Gardiner, famoso atelier di restauro delle auto da collezione con sede Boxted, nell’East Sussex. Il lavoro è stato lungo, non privo di difficoltà, di scelte e di qualche compromesso, ma dove ogni componente è stato realizzato appositamente come pezzo di artigianato. A cominciare dal motore. Quello originale infatti doveva essere lo stesso dell’auto da corsa, ma con un rapporto di trasmissione per il compressore Roots più corto, in modo da avere una pressione di sovralimentazione inferiore e poter funzionare con la normale benzina. La potenza era di circa 200 cv a 3.650 giri/min con una coppia di 436 Nm a 2.350 giri/min contro i 530 Nm della Type C.
Ma a suscitare più sensazione è sicuramente la carrozzeria, sagomata anch’essa per avere la migliore aerodinamica, con le ruote posteriori carenate e una lunga coda che ospita il bagagliaio, al quale si accede dalle porte posteriori apribili controvento come quelle anteriori, e che serve anche per le ruote di scorta per un totale massimo in peso di 450 kg, e il motore. Quello ricostruito nei nostri giorni ha però una cilindrata di 6.005 cm3 e mantiene il compressore volumetrico con una potenza di ben 520 cv a 4.500 giri/min. Inoltre è alimentato con una miscela di benzina super (40%), Metanolo (50%) e Toluene (10%). Al V16 si accede da dietro tramite un’apertura divisa in due pezzi: una spondina incernierata in basso che si apre a compasso e un cofano che incorpora il lunotto a mezzaluna, si solleva e trasla verso l’alto. Sono state ricavate anche due aperture sul corto cofano anteriore.
Il motorone può fare così bella mostra di sé ed è posizionato nella sua nudità per farsi ammirare nella sua antica complessità, ma il suo ingombro ha obbligato ad ingrandire la vettura portando il passo previsto di 3.000 mm a 3.315 mm con una lunghezza di 5.390 mm, una larghezza di 1.780 mm e un’altezza di 1.660 mm. Anche il peso ha superato quello previsto da progetto: da 1.300 kg a 1.450 kg. Fedele al progetto il telaio, a traverse e longheroni, nuove invece le sospensioni indipendenti che, al posto degli ammortizzatori a leva e frizione e delle balestre trasversali in voga negli anni ‘30, utilizza ammortizzatori idraulici telescopici e barre di torsione longitudinali come molle. I freni sono rimasti a tamburo, lo sterzo non può essere a vite senza fine ed è probabilmente e pignone e cremagliera e il serbatoio, invece che tra l’abitacolo e il vano motore, è stato posizionato sotto il pavimento dell’abitacolo
Quest’ultimo è a tre posti allineati, con i due sedili passeggeri leggermente arretrati e quello centrale del guidatore più avanzato, una disposizione che Gordon Murray avrebbe applicato 60 anni dopo alla McLaren F1. Altrettanto particolare il parabrezza in tre pezzi, con quella centrale piatta e quelle laterali per migliorare la visibilità. Bellissima la plancia rivestita in radica, così come la parte alta delle portiere, e dal sapore antico il volante grande e dalla corona sottile, i comandi in bachelite bianca, la pedaliera e la leva del cambio, quella del freno a mano e gli strumenti che sembrano pezzi di alta orologeria con le lancette che partono dall’alto. Il tachimetro arriva fino a 300 km/h e la chiave di avviamento è sulla sinistra, come sulle Porsche. Sarà un caso? Quello che è sicuro è che lo stesso ingegnere di origine boema voleva fare della Type 52 una vettura da corsa di ritorno, un’auto da gara da fornire ai privati per poter correre alla Mille Miglia o alla 24 Ore di Le Mans.
L’Audi ha portato la Type 52 al Festival of Speed e per il giro inaugurale sul circuito della cronoscalata, ha scelto due piloti altamente rappresentativi come Tom Kristensen e Hans-Joachim Stuck detto “Strietzel”. Il primo ha dato a Ingolstadt otto delle sue 13 vittorie alla 24 Ore di Le Mans mentre l’altro ne ha vinte solo tre (una di categoria), ma soprattutto è figlio di quell’Hans Stuck che guidò le Auto Union vincendo il Gran Premio d’Italia a Monza nel 1935, al volante però dell’ancora più potente e avveniristica Type B con la quale, nello stesso anno fissò anche il record di velocità superando i 320 km/h sul tratto autostradale della Firenze-Mare, allora prediletto da molti altri costruttori e piloti per questo tipo di imprese. Per la Type 52 l’impresa è stata sicuramente di chi è riuscito a trasformarla da sogno a realtà facendo vivere un’auto che giaceva come un ovulo congelato e facendo rivivere un’attitudine a pensare e costruire auto che oggi è quasi dimenticata, ma del quale avremmo tutti bisogno.