
Batterie e idrogeno, il nuovo ibrido. Le tecnologie che sembrano concorrenti possono anche andare a braccetto

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La mobilità definitiva è a batterie o a idrogeno? In attesa che il tempo ci consegni la risposta definitiva, la transizione potrebbe essere una combinazione di tutte e due, ovvero un ibrido. A questa parola associamo ormai da tempo un sistema di propulsione che sfrutta la collaborazione tra un motore a scoppio e un motore elettrico, ma dal punto di vista concettuale nulla vieta che siano due fonti energetiche “tout court”. Ecco allora che si sta facendo strada un ibrido nuovo formato dalla batteria e dallo stack delle celle a combustibile. Qualcuno potrebbe osservare, a ragione, che è già così perché tutti i veicoli fuel cell hanno una batteria, ma in modo assai diverso. Sui veicoli che utilizzano l’idrogeno come vettore energetico infatti la batteria è piccola, non ricaricabile e serve a sostenere l’erogazione di potenza del sistema e a coprire il buco che si crea tra la richiesta di potenza da parte del guidatore e il tempo necessario allo stack per erogare l’energia prodotta attraverso l’incontro tra idrogeno e ossigeno.
I nuovi ibridi a idrogeno hanno invece una batteria ricaricabile, molto più grande, capace e potente, in grado di muovere da sola il veicolo per decine di km e senza compromessi in termini di prestazioni. Ma allora perché far incontrare due soluzioni che spesso sono rappresentate come antagoniste aggiungendo complessità?
Per unirne i pro e arginarne i contro. In un’auto elettrica la batteria è meno ingombrante, ma più pesante e, nonostante tutti i progressi ancora in corso, la presenza sempre più capillare della rete di ricarica e la possibilità di farla anche a casa, offre un’autonomia limitata e ha bisogno di tempo per rifornirsi. Al contrario, uno stack capace di erogare 120-150 kW ha le dimensioni di una valigetta 24 ore e pesa 30-40 kg e un pieno di idrogeno per percorrere 5-600 km ha bisogno di 3-5 minuti, ma i serbatoi sono voluminosi e hanno necessariamente forma cilindrica per resistere, secondo la normativa, a due volte e mezza la pressione di esercizio che è di 700 bar, inoltre l’infrastruttura di rifornimento è praticamente inesistente. Dunque la propulsione elettrica è pesante ma compatta, quella a idrogeno ha più energia ma è più ingombrante. Per questo si pensa che il destino di veicoli come le vetture, le moto e i quadricicli sia nelle batterie e che per i mezzi pesanti e da lavoro, e persino per i treni e gli aerei, sia meglio l’idrogeno con i mezzi commerciali leggeri che possono adottare entrambe le forme. E se si potesse invece prendere l’una e l’altra per saldare i pregi di entrambe e quantomeno limitarne i difetti?
Il primo costruttore ad aver avuto questa idea è stato Mercedes nel 2018 che, dopo avere presentato nel corso degli anni numerosi veicoli ad idrogeno, aveva progettato la GLC F-Cell dotata di un motore da 155 kW alimentato sia con l’energia elettrica di una batteria ricaricabile sia con quella prodotta a bordo grazie all’idrogeno. La prima era sufficiente per percorrere 51 km e dunque sufficiente per la maggior parte degli spostamenti, la seconda per trasferimenti fino a 430 km senza rifornirsi. Mercedes ha poi deciso di abbandonare l’idrogeno e la GLC F-Cell è stata accantonata, ma il suo esempio di ibrido plug-in a idrogeno sta trovando diversi emuli perché, a differenza dell’ibrido tra pistoni ed elettrico, offre emissioni zero in ogni condizione di marcia e una funzionalità superiore. I primi a prendere esempio dall’esperimento tedesco sono stati quelli di Stellantis per i loro mezzi commerciali leggeri Citroën Jumpy, Opel Vivaro e Peugeot Expert che, a titolo di confronto, hanno anche versioni elettriche dotate di batterie da 50 kWh o 75 kWh per un’autonomia fino a 350 km.
Le versioni ibride a idrogeno invece hanno uno stack, all’interno del vano motore, che produce 45 kW di potenza e il resto lo fa una batteria da 10,5 kWh di capacità, posizionata sotto i sedili, che bastano per 50 km mentre i tre serbatoi, che ospitano 4,4 kg di idrogeno e si trovano sotto il piano di carico, assicurano un’autonomia di oltre 400 km. Il vantaggio di questa soluzione è che i rifornimenti alla spina possono essere fatti ovunque e nei tempi di fermo del veicolo assicurando i piccoli spostamenti, mentre quelli alle stazioni a idrogeno si completano in soli 3 minuti e permettono di affrontare comodamente i trasferimenti medio-lunghi senza compromettere il volume e la portata di carico ampliando l’utilizzo del veicolo. Anche Renault sta pensando a qualcosa di simile, e non solo per i veicoli commerciali. Lo dimostrano due concept distinti: sulla Scénic Vision del 2022 i due serbatoi per 2,5 kg di idrogeno (a 350 bar) e una batteria da 40 kWh permettono un’autonomia di circa 500 km; sulla più recente Emblème la stessa batteria, uno stack da 30 kW, 2,8 kg di idrogeno e un’aerodinamica più favorevole permettono una funzionalità tale che i trasferimenti anche oltre 1.000 km si effettuano in tempi identici a quelli di una vettura a benzina o a gasolio.
La Régie ha pronto anche un Master che, con una batteria da 33 kWh e un rifornimento di idrogeno da 5 minuti, può fare oltre 700 km mantenendo un vano di carico da 12 m3 e alto 1,8 metri. Anche altri costruttori pionieri dell’idrogeno sono arrivati a soluzioni simili. La Honda, dopo più modelli a idrogeno, ha di recente presentato il CR-V e:FCEV che ha una batteria da 17,7 kWh e serbatoi da 4,4 kg di idrogeno per un’autonomia totale di circa 450 km secondo le norme EPA, più severe di quelle WLTP. La Hyundai invece si prepara a produrre una supersportiva derivata dalla N Vision 74: batteria da 62,4 kWh, stack da 85 kW, due serbatoi da 2,1 kg e due motori da 250 kW l’uno per uno 0-100 km/h in meno di 4 s. e un’autonomia di 600 km. Questo dimostra che l’ibrido batterie-idrogeno è potenzialmente adatto a più tipi di veicolo e che, così come in natura, sono gli incroci e la diversità a perfezionare la specie.