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La rivoluzione che non lo è. Si chiama auto ibrida ed è la porta di accesso del mondo dell’auto all’elettrificazione. Un motore elettrico, più o meno piccolo, affianca il tradizionale a combustione, tagliando consumi ed emissioni. Niente spine. Niente prolunghe. Niente affannose ricerche di una colonnina salva-viaggio perché la batteria si ricarica in automatico in frenata e decelerazione. Nessun cambiamento delle abitudini quotidiane. E la domanda cresce: in Italia lo scorso anno si sono vendute oltre 250mila ibride, con una crescita del 115,1%. Nei primi due mesi del 2021 l’incremento è al 144,6% e la quota di mercato sfiora il 30%. Per intenderci, nel nostro Paese oggi si acquistano più ibride che diesel.
Aspetto che ha contribuito a far scendere, rispetto ai primi due mesi dello scorso anno, le emissioni medie di CO2 delle auto nuove del 7,1%. In Europa poi, per la prima volta nel 2020 si sono immatricolate oltre due milioni di ibride. In Italia, la domanda premia in particolare le soluzioni ibride mild e full. Le prime sono la forma più leggera ed economica di elettrificazione: un generatore-starter da 48 o 12 volt (adottato dalla Fiat Panda Hybrid, l’ibrida più venduta in Italia), azionato a cinghia e collegato all’albero motore, sostituisce il motorino d’avviamento e l’alternatore e permette di recuperare energia, immagazzinandola in una batteria poco più grande di quella tradizionale, per poi sfruttarla in accelerazione.
Il contributo di potenza è ridotto: da 3 a 10 chilowatt. O poco più. La soluzione a 48 volt consente all’auto anche di “veleggiare”, ovvero viaggiare per inerzia con il motore a combustione spento mentre freni e servosterzo elettromeccanico continuano a essere alimentati dalla batteria. Il mild hybrid in città - in funzione della tecnologia (12 o 48 Volt) e dell’integrazione più o meno diretta nella trasmissione - garantisce una riduzione di consumi ed emissioni in media dall’8 al 15%. La tendenza è chiara: per rispettare i rigidi parametri dell’Unione Europa in termini di emissioni, nei prossimi mesi ogni nuovo modello avrà di serie almeno un sistema mild hybrid.
Il full hybrid è il sistema lanciato da Toyota nel 1997 e oggi rappresenta in Europa occidentale il 65% delle vendite della casa giapponese, il 70% in Italia. In questo caso il motore elettrico ha una potenza comparabile a quella del propulsore tradizionale ed è in grado di far viaggiare da solo la vettura. I vantaggi per consumi ed emissioni sono più significativi rispetto a un mild hybrid: secondo uno studio Enea e CARe-Università Marconi di Roma, le ibride Toyota riescono a percorrere tragitti urbani per oltre il 50% del tempo a zero emissioni. Condizioni che si ritroveranno su Yaris Cross in arrivo in estate e nuova Aygo prevista per il 2022.
Non tutti però sembrano apprezzare: a differenza dei sistemi mild, i full sono meno diffusi di quanto si possa pensare. Bmw, Jaguar-Land Rover, Mercedes, la nuova Stellantis e il gruppo Volkswagen sono convinti di poterne fare a meno, privilegiando piuttosto la tecnologia ibrida plug-in. Diversa la scelta di Nissan che propone una sua soluzione ibrida, molto diffusa in Giappone e in arrivo in Italia a bordo della nuova generazione di Qashqai: si chiama e-Power e abbina una batteria agli ioni di litio a un motore a benzina con rapporto di compressione variabile, un generatore, un inverter e un potente motore elettrico. il motore a combustione interna in questo caso è usato esclusivamente per generare elettricità e le ruote sono spinte dall’elettrico. Un’auto elettrica che va a benzina. A ognuno il suo ibrido.
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