ROMA - Se una cosa dovrebbe insegnare il “caso emissioni” è un generale invito al realismo, rivolto all’intero mondo degli stakeholder dell’automotive: ai produttori, ai regolatori, ai politici, e ovviamente agli acquirenti. Ma non sembra che le cose stiano andando così. Al contrario, a giudicare dagli standard di emissione sempre più sfidanti che politici e regolatori si affannano a elaborare, il rischio evidente è una nuova forsennata gara all’irrealismo. Una gara molto costosa: per chi le auto le produce, ergo per chi le auto dovrà e potrà comprarle. In gioco ci sono centinaia di migliaia di occupati, meglio non dimenticarlo, e un settore che per esempio in Italia è stato negli ultimi anni quello che ha più contribuito - con una crescita a doppia cifra - al nostro record di export. Se davvero avverrà quel che i regolatori promettono in Europa, allora a rischio non saranno solo i motori diesel colpiti dallo scandalo, ma tutti i motori a combustione.
È dunque il caso di porsi il problema prima che le decisioni vengano assunte. Prima cioè di rimediare nuove pessime figure, o di esporsi a enormi rischi: produttivi, di consumo, occupazionali.
Per il terzo trimestre di quest’anno, sono attese le nuove decisioni della Commissione Europea sulle emissioni di gas serra per le auto, per conseguire l’obiettivo annunciato per il 2030: cioè abbattere del 40% le emissioni di CO2 rispetto al 1990. La prima tappa già fissata è di ridurre entro il 2021 la media delle emissioni delle flotte prodotte da ogni casa a 95 g/km di CO2. Uno standard che, quando venne deciso, era ancora coerente al vecchio modello di omologazione – quello che ha consentito il dieselgate – noto come NEDC, New European Driving Cycle.
Che però entro il 2020 sarà prima appaiato e poi sostituito da un nuovo modello, il Real Driving Emission (RDE), incentrato sulla Worldwide Light Vehicles Test Procedure (WLTP). Senza entrare in dettagli tecnici, al fine di evitare intollerabili divari fino al 400% delle emissioni di ossidi di azoto e anidride carbonica omologate in laboratorio, come avveniva con le vecchie procedure rispetto a quelle realizzate davvero in condizioni normali su strada, le condizioni di test muteranno drasticamente: doppio della durata in strada, doppio delle accelerazioni prima previste, aria condizionata attaccata, stop al bonus attuale per il CO2 rappresentato dai sistemi di autospegnimento e avviamento, e via continuando. I produttori chiedono che i 95 g/km previsti per il 2021 vengano omologati con il vecchio sistema NEDC, perché altrimenti entro 3 anni quasi nessuno degli aggiornamenti dei modelli esistenti supererà il test.
Ma attualmente è previsto il contrario. Ed è anche giusto, visto che i consumatori sono stanchi di prestazioni reali lontane anni luce dal garantito all’acquisto. Ma se si sposano giustamente test di omologazione più veritieri, gli standard di emissione non devono essere fuori dal mondo. Per capirci, nel 2015 lo standard era di 130 g/km, e poteva essere raggiunto anche solo con quote di flotte per produttore in cui l’elettrico e l’ibrido erano poco sotto o poca sopra l’1% complessivo. Ma nella pipeline dei documenti della Commisisone Ue oggi si parla di fissare uno standard di 68 g/km al 2025. Una riduzione cioè del 50% in 10 anni, che diventa di un 15-20% ulteriormente maggiore visto che il nuovo sistema di test WLTP-RDE abbatte energicamente il gap tra prove al banco e in strada.
È un salto in avanti pazzesco, conti alla mano, senza senso. La VDA, l’associazione tedesca delle industrie dell’auto, ha cifrato in 40 miliardi il surplus di investimenti necessari per la sola Germania di qui al 2020, per raggiungere un tale obiettivo. Significa per la sola Volskwagen pensare di produrre almeno 1 milione di auto elettriche o ibride per anno, rispetto a poche decine di migliaia attuali.
E questi sovraccosti bisogna immaginare ci sia un mercato pronto a vederli traslati sui prezzi di acquisto: la stessa VW già dice che ogni g/km in meno si traduce in un maggior prezzo ai clienti tra i 100 e i 200 milioni di euro, ed è un andamento incrementale: più sale la soglia, più il livello di investimenti in tecnologia diventa oneroso. Uno studio commissionato da Schaeffler, uno dei più grandi gruppi di componentistica auto al mondo, indica che per ottenere tali obiettivi la metà delle auto prodotte nel 2025 dovrebbe essere con trazione non più a combustione, diesel o benzina. Quando già nel 2016 la Porsche ammetteva ufficialmente che i suoi clienti – e stiamo parlando del settore iper premium - non erano disposti a pagare 10mila euro in più per una Panamera ibrida e plug-in. Sono tutti numeri su cui la Commissione Europea farà bene a riflettere seriamente. Transport & Environment, uno studio professionale attivo sui temi dell’ambientalismo automotive a Bruxelles, ha stimato non solo che i due terzi del miglioramento delle emissioni omologate dal 2008 a oggi sia avvenuto solo sulla carta, ma che è già costato una media di 549 euro annui alla pompa più del previsto a ogni consumatore.
Per questo T&E propone che la Commissione abbassi in maniera realistica i suoi obiettivi, non immaginando di andare oltre gli 80 g/km di CO2 entro il 2025, altro che 68 grammi. E prendendo anche in considerazione l’idea di un lungo periodo transitorio di sperimentazione dei risultati dei nuovi più severi test WLTP, periodo in cui disporre riduzioni delle emissioni flessibili e non prescrittive. Anche perché i 250 milioni di auto che oggi circolano sulle strade europee hanno in media 9,7 anni di vita, e alzare i prezzi in maniera astronomica significa solo un minore effetto sostituzione, ergo maggior inquinamento invece che minore.
Vedremo se il realismo prevarrà nel regolatore europeo. Ma anche i sindaci è meglio che inizino a farsi un po’ di conti economici, invece di pensare solo a proclami elettorali. Le 18 grandi aree metropolitane mondiali che dal 2005 si incontrano nel gruppo C40, e che da sole rappresentano il 70% delle emissioni globali di CO2, premono per lo stop totale della produzione di diesel al 2025, a favore del tutto-elettrico. La risposta dell’amministratore delegato del gruppo PSA, anzi oggi bisogna dire PSA-OPEL, Carlos Tavares, è stata fulminante: «Non mi vedo bene in biciletta a 85 anni nell’inverno parigino». Ha perfettamente ragione. Cerchiamo di evitare fughe in avanti verso un futuro i cui costi politica e regolatori non riescono a prezzare, perché significherebbe avere più disoccupati e più auto vecchie.