L'eterna incompiuta. L’auto ad idrogeno è una favola senza lieto fine. Almeno finora. L’industria negli ultimi 30 anni ci ha investito molto, qualcuno come Arnold Schwarzenegger da governatore della California nei primi anni duemila ci ha messo anche la faccia. I numeri, però, non sono mai decollati (e Shell ha chiuso nei giorni scorsi i 7 distributori dell’area di San Francisco). Nel 2023, secondo i coreani di SNE Research, azienda specializzata in analisi di mercato di veicoli innovativi, si sono venduti nel mondo 14.451 veicoli ad idrogeno, tra l’altro in calo di oltre il 30% rispetto al 2022. Non proprio un risultato da prima della classe per quella che, di fatto, è un’auto elettrica: le batterie sono sostituite da una “scatola magica” chiamata cella a combustibile (fuel cell), dove idrogeno e ossigeno reagiscono fornendo l’energia necessaria al motore (elettrico) e piccole gocce di vapore acqueo allo scarico.
Difficoltà di stoccaggio dell'idrogeno gassoso per periodi prolungati, prezzi elevati (fino a 10 volte il costo di un pieno di metano) e investimenti milionari per realizzare i distributori hanno di fatto frenato un’auto che, con autonomie elevate (oltre 600 km), tempi di rifornimento paragonabili a quelli di una vettura tradizionale (3-5 minuti) e zero emissioni allo scarico, sembrava lanciata verso un futuro senza limiti. A oggi in Italia sono solo due i distributori di idrogeno a Bolzano e a Mestre che diventeranno, almeno secondo quanto annunciato, 38 entro il 2026. Eppure non tutto sembra perduto. In particolare per i veicoli stradali più grandi: tir, bus e veicoli commerciali.
È il caso ad esempio dell’alleanza tra Hyundai e il gruppo Iveco per il mercato europeo: avviata nel 2022 ha portato, con il marchio italiano (ma con sede ad Amsterdam), a un veicolo commerciale e a un bus, entrambi elettrici e a celle a combustibile. D’altronde i coreani – seguiti poco dopo da Honda e Toyota - sono stati i primi a produrre un’auto di serie a idrogeno (iX35 Fuel Cell) e continuano nella sperimentazione come dimostra il concept N Vision 74: l’architettura è di tipo ibrido a batterie e celle a combustibile ad idrogeno ad alimentare un motore elettrico. Dove l’idrogeno può essere ricavato dalla trasformazione di materiale plastico che non può essere riciclato oppure da scarti organici come il letame o rifiuti alimentari.
A crederci sembra anche Renault che con il suo marchio sportivo Alpine è pronta a scendere in pista tra qualche giorno (14-15 giugno) a Le Mans per la 92esima edizione della 24 Ore, seppur solo per qualche giro di test, con il concept della Alpenglow Hy4 che in questo caso utilizza un tradizionale motore a combustione alimentato da idrogeno liquido. Oppure Stellantis pronta a consegnare nei prossimi mesi una flotta di veicoli commerciali leggeri Peugeot e-Expert Hydrogen alla società francese Hysetco. Anche se nei giorni scorsi il ceo Tavares, a causa dei “suoi costi stellari” ha escluso di considerare oggi l’idrogeno come tecnologia alternativa per la mobilità di massa: «Per il futuro più vicino è possibile che possa diventare una soluzione per le flotte di grandi aziende, ma certamente non per i normali cittadini». Parole che sembrano allontanare ancora una volta il lieto fine.