Michele Crisci, presidente e amministratore delegato di Volvo Italia, è da oltre due anni al vertice dell’Unrae, l’Unione che rappresenta le case automobilistiche estere operanti nel nostro Paese, e con esse circa il 75% del mercato italiano, come testimoniano i dati di vendita dei primi nove mesi del 2018.
Entrambi i “cappelli” – quello istituzionale e quello professionale – giustificano l’attenzione con cui guarda al settore delle vetture aziendali, che spesso sono lo sbocco prevalente per i costruttori premium, categoria in cui i marchi esteri vantano una storica leadership. Un settore che conferma la sua funzione anticiclica, la capacità di compensare – almeno in parte – l’affanno di cui soffrono le vendite ai privati, che tra gennaio e settembre sono scese al 54,8% del mercato dal 55,9 dell’analogo del 2017: merito soprattutto del noleggio a lungo termine, passato dal 12,9% al 14,2% del totale, mentre sono calati sia il breve termine (dall’8,6 all’8%), sia – in misura più contenuta – gli acquisti diretti delle aziende, passati dal 21,2 al 20,9% delle vendite complessive.
Un’evoluzione di cui abbiamo parlato con Michele Crisci.
Come sta il mercato?
«Sta soffrendo rispetto all’anno scorso. Sostanzialmente per due ordini di motivi. Il primo è la serie di interventi – su tutti il superammortamento – che avevano favorito alcune categorie di clienti, soprattutto tra coloro che fanno dell’auto un uso professionale. Questo ha stimolato la domanda, ma anche creato un effetto anticipo che adesso si sta scontando».
E il secondo motivo?
«Su questo in Unrae abbiamo avviato una profonda riflessione. Si è creato un senso di smarrimento dovuto a diversi motivi in cui non è il caso di addentrarsi. Ma sicuramente situazioni come la discussione sulle motorizzazioni, come pure i blocchi del traffico a macchia di leopardo, senza una strategia coerente, hanno generato un po’ di timore – soprattutto da parte dei privati – per un acquisto economicamente impegnativo in assenza della certezza di poterne poi fruire tranquillamente».
Per esempio?
«Non è possibile sapere se ci saranno o meno interventi atti a favorire il rinnovo del parco, piuttosto che ulteriori strette nei confronti del diesel. Questo non aiuta il compratore a decidere. C’è però da dire che contestualmente vediamo il momento positivo del noleggio, almeno di quello a lungo termine che ha superato il 14% del mercato, mentre quello a “breve” risente di dinamiche particolari, legate alla stagionalità».
Breve termine in calo, ma sempre su buoni livelli.
«Certamente il dato dei primi 9 mesi, comunque attestato sull’8%, è un livello interessante, superiore a quello medio degli ultimi anni. Ma è legato sopratutto all’andamento stagionale, perché il comparto ha un peso specifico più importante nel periodo estivo e pre-estivo, mentre rallenta nella parte finale dell’anno. Io credo che alla fine del 2018 non supererà il 6,5-7% che ne rappresenta il valore storico. Al contrario il lungo termine registra una crescita costante, che non è venuta meno neppure nel periodo più buio della crisi, quello culminato nel 2014 quando il mercato complessivo “sprofondò” a 1,3 milioni. Eppure non ha mai frenato una corsa che in meno di dieci anni lo ha portato dal 6 al 14% su cui sta viaggiando quest’anno».
Per quale motivo?
«Dal mio punto di vista ci sono una serie di cambiamenti sociali che stanno facendo prevalere il concetto di utilizzo a scapito di quello di proprietà del veicolo. Alla crescita concorre anche l’incertezza: la gente preferisce ribaltare sul noleggiatore il rischio che future normative, per esempio restrizioni sull’uso del gasolio, possano pregiudicare il valore residuo. Dobbiamo comunque considerare che in altri Paesi d’Europa, soprattutto quelli del Nord, il noleggio a lungo termine arriva all’80%, e noi siamo ancora indietro come tutto il Sud Europa».
A proposito di diesel, rilevate qualche effetto della sua “colpevolizzazione”?
«Notiamo che colpisce in modo diverso i vari segmenti. In quelli più piccoli risulta evidente la tendenza – soprattutto da parte dei privati – a riorientare le preferenze verso la benzina, considerata più stabile ai fini dell’evoluzione normativa e del mantenimento dei valori residui, sui quali hanno un peso rilevante anche le limitazioni al traffico. Nei segmenti alti invece il diesel resta prevalente, soprattutto per la forte presenza della clientela aziendale. Chi ricorre al leasing e al noleggio attribuisce un’importanza relativa ai valori residui, mentre è più attento ai costi d’esercizio che premiano ancora il gasolio».
Qual è la vostra posizione in materia?
«Stiamo conducendo una fortissima campagna di sensibilizzazione delle istituzioni, sia livello centrale, sia con le amministrazioni locali delle città più importanti. Puntiamo su un’informazione basata su dati scientifici e non su mal di pancia. I diesel di ultima generazione, e su questo concorda anche il Consiglio nazionale delle Ricerche, hanno un impatto trascurabile in termini di emissioni nocive e anche di CO2».
E i vecchi diesel?
«Il discorso è diverso. Dialoghiamo con le istituzioni locali per far capire che non bastano i blocchi del traffico, ma occorre spingere i proprietari di questi veicoli a passare ad altri mezzi di trasporto o a sostituire un diesel pre-Euro 3 anche con un usato “pulito” come previsto, per esempio, in Francia con opportuni incentivi. Il tutto senza dimenticare che comunque l’intero trasporto su gomma pesa sull’equilibrio ecologico globale per non più del 12%».
Quindi lunga vita al diesel...
«Non difendiamo il gasolio per partito preso. Anzi riteniamo anche che ci voglia un maggiore impegno nella realizzazione di infrastrutture che favoriscano la mobilità elettrica. È un passaggio strategico per il futuro del Paese, e su questo abbiamo riscontrato il concreto interesse delle amministrazioni, mentre a livello locale l’accoglienza è stata più tiepida e “distratta”. Servono ovviamente degli investimenti, che noi non chiediamo – sia chiaro – per vendere più auto, ma per sostenere i settori che devono occuparsi nell’infrastrutturazione».