Michele Crisci è il presidente dell’Unrae, l’associazione che rappresenta le case automobilistiche estere operanti in Italia dove vantano – precisa – una quota di mercato calata al 72-75% dopo l’uscita, per evidenti e ovvie motivazioni geopolitiche, dei brand non italiani del gruppo Stellantis.
Giunto al secondo mandato, che scadrà nel 2025, dispone di un osservatorio privilegiato per valutare lo stato di salute di un mercato che al 21 maggio scorso registrava una crescita del 26% rispetto allo stesso giorno dell’anno precedente.
È vera gloria o solo l’uscita da un incubo che sembrava senza fine?
«Propenderei per la seconda ipotesi, perché tutte le case lamentavano in inevaso gigantesco al quale solo ora si sta ponendo rimedio grazie alla progressiva normalizzazione delle forniture i cui ritardi avevano fortemente penalizzato le consegne. Ma c’è ancora tanto da fare, e le nostre previsioni parlano di un 2023 che potrebbe chiudere a 1,47 milioni di nuove targhe».
Ritiene che il mercato possa tornare agli anni d’oro degli oltre 2 milioni di targhe?
«Mi pare improbabile, perché è un mondo che sta cambiando sia sotto l’aspetto del prodotto, sia sotto quello delle percezione che ne hanno i consumatori. Io credo che per il 2024-25 si possano considerare accettabili livelli di immatricolazione nell’ordine di 1,65-1,7 milioni di unità all’anno».
Quali le cause di questa situazione?
«Io credo che gravino i ritardi del sistema-Paese per quanto riguarda l’accettazione delle nuove tecnologie, fondamentali per disegnare il futuro dell’auto. Soprattutto nell’elettrico, dove siamo ancora fermi a un bassissimo 3,5% di penetrazione, stiamo diventando gli ultimi in Europa, con il rischio di trasformarci in un mercato secondario in un quadro nel quale crescono sia il peso delle flotte, sia la tendenza all’utilizzo dell’auto piuttosto che alla sua proprietà».
Come rimediare?
«In una recente tavola rotonda a Verona, dove era rappresentato praticamente tutto il nostro mondo (noi, Anfia per i costruttori nazionali, Federauto per i dealer e Motus-E a nome delle imprese direttamente impegnate nella svolta elettrica) abbiamo significato al ministro Salvini come sia fondamentale portare presto l’Italia all’interno di questa contesa, e non lasciarla ai margini. Per rimettere il Paese al centro della scena bisogna per esempio superare la posizione puramente difensiva adottata finora – come la difesa a oltranza del motore termico e dei carburanti tradizionali – che rischiano negli anni di diventare obsolete e non giovano alla filiera italiana, dalla produzione alla distribuzione, ma anzi la danneggiano. Con buona pace di chi afferma che la transizione energetica possa provocare la perdita di 70.000 posti di lavoro, noi pensiamo che l’occupazione non si crei restando fermi».
In che modo?
«Perché se è vero che le nostre auto nascono all’estero, noi siamo tutti – io per primo – orgogliosamente italiani, e non dimentichiamo che la nostra componentistica deve circa il 60% del suo fatturato a clienti che noi rappresentiamo e che non sarebbero disposti ad accettare a lungo tecnologie obsolete. Per difendere, o addirittura aumentare, i posti di lavoro bisogna quindi spostarsi sullo sviluppo di soluzioni innovative che non riguardano solo l’elettrico, come molti sostengono, ma vanno ben oltre».
In quali direzioni, per esempio?
«I campi in cui mettere a punto delle tecnologie del futuro sono numerosi, e vanno dallo sviluppo dell’idrogeno alle soluzioni di guida autonoma, dal software alla connettività, dall’evoluzione delle batterie al design, settore in cui nessuno mette in discussione la maestria e la creatività degli specialisti italiani ammirati in tutto il mondo. Dal lato della produzione le cose da fare sono davvero tante».
E sul fronte distributivo che vi riguarda da vicino?
Dal lato del mercato bisogna fare in modo che gli italiani, e soprattutto le aziende, siano aiutati ad accogliere questa svolta. Non dimentichiamo infatti che in Italia le auto aziendali possono detrarre l’Iva al 40% mentre in molti mercati europei si può arrivare tranquillamente al 100%. E spesso la manovra sull’Iva è stata finalizzata proprio a promuovere la diffusione dell’auto elettrica, garantendo la detrazione totale dell’imposta solo per questo tipo di propulsione, magari con un’impostazione progressiva (detrazione all’80% per le ibride plug-in e così via), mentre si è investito anche nella diffusione delle colonnine a ricarica rapida lungo le autostrade. Questo ci sembra un circuito virtuoso da seguire, anche per attrarre investimenti che non potrebbero fare che bene al nostro Paese.