L'arrivo trionfale delle due Toyota a Le Mans

L'ora di Alonso. Toyota imprendibile, trionfo a Le Mans. Alla “24 Ore” la casa di Nagoya fa doppietta

di Giorgio Ursicino
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LE MANS - Per fortuna che doveva essere un’edizione in tono minore per il ritiro di prestigiosi costruttori protagonisti assoluti negli ultimi decenni. Il mito alimenta se stesso e a Le Mans Fernando Alonso viene travolto da un bagno di folla che nemmeno aveva mai sognato nei 300 gran premi finora disputati. La mitica 24 Ore manda in onda il suo repertorio migliore e spinge sul gradino più alto del podio un pilota già campione del mondo di Formula 1 (era avvenuto una sola volta in precedenza, con Graham Hill nel 1972) e consegna il suo prestigiosissimo trofeo a una delle case automobilistiche più grandi del pianeta che lo inseguiva da tempo, ma non era mai riuscita a conquistarlo.
 

 

Dopo le amare delusioni degli anni passati (diversi secondi posti e numerosi ritiri) Toyota domina la corsa di durata più importante del mondo centrando pure una formidabile doppietta. Con il due volte iridato spagnolo sull’astronave ibrida TS050 c’erano Sebastien Buemi (già campione di Formula E ed ex della Toro Rosso in F1) e Kazuki Nakajima. La vettura numero 8 ha preceduto di due giri la numero 7 guidata da Michael Conway, Kamui Kobayashi e Jose Maria Lopez, tutti driver velocissimi e di grande esperienza. Il bolide primo sotto la bandiera a scacchi ha staccato di ben 12 giri (163 km, la distanza di oltre mezzo gran premio) la prima delle due Rebellion (una era guidata da Lotterer e Jani già vincitori a Le Mans e da Bruno il nipote di Ayrton Senna) che nulla hanno potuto per contrastare i vincitori tanto era il divario tecnologico è prestazionale. Potrebbe sembrare una vittoria scontata o addirittura facile, ma non lo è affatto poiché Toyota è la prima a sapere che a Le Mans l’imprevisto è dietro l’angolo e si può pensare a festeggiare solo dopo che è stata sventolata la bandiera a scacchi.

C’era da lottare contro se stessi per un giorno intero vissuto ad oltre 220 km/h di media (soste ai box, slow zone e safety car comprese) e contro una gara che sa essere cinica e a volte spietata. C’era da gestire gli equipaggi perché il fantasma più inquietante era un contatto fratricida come quelli fra Hamilton e Rosberg o Ricciardo e Verstappen. Ma in Formula 1, a volte, si torna in pista dopo una settimana, a Le Mans bisogna attendere un anno intero per cancellare le delusioni.
 

 

Nonostante questo le due TS050 non sono affatto andate a spasso visto che la prima al traguardo ha percorso 388 giri che corrispondono a quasi 5.300 km, cioè più di quanti ne hanno macinati le Porsche vincitrici nel 2016 e nel 2017 quando lottavano proprio con le Toyota allora penalizzate da incidenti o guasti meccanici. Tante prestazioni con poco carburante poiché le Toyota sono anche le vetture che hanno consumato meno in pista fra quelle non coinvolte in lunghe soste grazie al vigoroso recupero di energia, una grande spinta verso la mobilità sostenibile. A dare spettacolo ed onorare il pubblico è stato proprio il campione più grande, quello che meno conosceva la gara e meno avrebbe dovuto rischiare.

Fernando ha impedito il pisolino che di solito gli appassionati si concedono fra le tre e le cinque di notte. In quelle ore era lui al volante e con una condotta di gara da fenomeno ha recuperato quasi due minuti alla vettura gemella visto che la numero 8 era stata penalizzata. Un’andatura folle fra mille doppiaggi, coraggio, talento e precisione allo stato puro, senza mai la minima esitazione. Alonso aggiunge questa preziosa gemma ai suo 32 trionfi, ai 97 podi e alle 22 pole position conquistati in F1. Nel 2019 tenterà il bis, ma sul tavolo c’è già il dossier 500 migla di Indinapolis per mettere in bacheca la “triple crown” (Mondiale di F1, Le Mans e Indy) conquistata finora dal solo Graham Hill.
 

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Lunedì 18 Giugno 2018 - Ultimo aggiornamento: 19-06-2018 05:21 | © RIPRODUZIONE RISERVATA
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