«Ti faccio levare la patente». A Perugia lite in strada tra sindacalisti: c'è chi rischia una condanna a 4 anni

«Ti faccio levare la patente». A Perugia lite in strada tra sindacalisti: c'è chi rischia una condanna a 4 anni
di Egle Priolo
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Martedì 7 Maggio 2024, 08:59

PERUGIA - Via Cortonese. Traffico di un giorno qualsiasi. Una partenza ritardata al semaforo, una manovra azzardata, il nervosismo sempre più imperante alla guida e può capitare che tra gestacci e parole rabbiose si finisca anche sotto processo. Perché per la legge quel «ti faccio togliere la patente» sono minacce. Ed è così che un 37enne è finito davanti al giudice Lidia Brutti per rispondere delle accuse avanzate dal sostituto procuratore Gennaro Iannarone e soprattutto da un suo collega, vittima – secondo le contestazioni – delle sue parole.

Entrambi infatti svolgono lo stesso mestiere, impiegati nel sindacato: una vicinanza di intenti che non ha evitato al 37enne prima la denuncia e adesso addirittura il processo. I fatti sono del 31 ottobre 2019, quando – in base al capo di imputazione – l'uomo «con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, agendo per motivi futili originati da un precedente diverbio per questioni di circolazione stradale», alla guida della sua autovettura «con violenza consistita nello scartare improvvisamente a destra» mentre il collega «lo stava affiancando a bordo del proprio scooter contestandogli verbalmente una precedente condotta di guida scorretta ai suoi danni, lo costringeva a fermarsi». Ma il 37enne non si sarebbe fermato. Ma sceso dalla autovettura «con fare aggressivo» avrebbe minacciato il motociclista «di un male ingiusto». Quali sono le frasi contestate? «Adesso ti insegno a guidare, ti faccio togliere la patente, ti faccio vedere cosa ti capita; compà tu non sai con chi ti sei messo».
Affermazioni che unite alla sua veemenza per il codice penale integrano i reati di minaccia e violenza privata. Una storia quasi incredibile e in qualche modo educativa, considerando come gli improperi al volante siano all'ordine del giorno, soprattutto in città e all'ora di punta. Per accuse, comunque, che l'imputato – difeso dagli avvocati Valeria Passeri e Giovanni Cacciapuoti – contesta con fermezza. Sia smentendo i testimoni (alcuni dei quali, per la procura, hanno raccontato i fatti nell'udienza di ieri) sia dando una sua versione molto diversa da quella raccolta in denuncia. Il 37enne, infatti, spiega come dopo il primo diverbio abbia proseguito la sua marcia «senza suonare il clacson in segno di rimostranza o per restringere la strada per effettuare il sorpasso». Spiega di non aver nemmeno superato lo scooter e di non essersene minimamente preoccupato, come appunto fosse stato un diverbio come tanti, di quelli che capitano a chiunque. Ma soprattutto spiega, importante ai fini processuali, l'insussistenza «di alcuna costrizione a danno» del collega. Che anzi, secondo l'imputato, si sarebbe spostato a destra «in virtù di una personale percezione di pericolo», ma «senza alcun riscontro oggettivo».
E l'imputato si accorge del collega in scooter solo quando questo lo affianca, urlandogli «Ma come guidi?». «Fino a quel momento – si legge nella sua memoria difensiva - non aveva avuto alcuna percezione dell'eventuale disagio o pericolo avvertito dal conducente dello scooter, sentendosi ingiustamente accusato, ha risposto al rilievo mossogli, quale necessaria sua immediata reazione difensiva».

In pratica, secondo la tesi della difesa e dello stesso imputato, se parole grosse sono volate, va considerata «la sussistenza dell'attenuante» prevista dal codice penale per «l'aver agito in stato d'ira determinato da un fatto ingiusto altrui»: il collega in scooter – assistito dall'avvocato Eleonora Crocioni - lo ha provocato e lui ha reagito. Se compiendo un reato che va punito – rischia una condanna fino a 4 anni secondo il codice – ora lo stabilirà il giudice.

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