Arbitri, Collina e Nicchi: i fischietti devono tornare superpartes
Che esista una questione arbitrale nel calcio italiano e in quello internazionale é ormai chiaro. Le gare di Champions League sui palcoscenici europei e le diatribe interne al nostro Paese sono più che segnali. Rappresentano il quadro di una classe arbitrale che sta perdendo i suoi connotati, quella di essere super partes ad ogni contesa, come dovrebbero essere sempre coloro che giudicano.
In Europa si sta scatenando una caccia al nostro uomo all’Avana, quel Pierluigi Collina che fino a qualche tempo fa era visto come il Dio del mondo arbitrale, come l’unica persona in grado di vedere e fare le cose nel modo giusto. Al punto che nel momento di crisi del nostro calcio il nome di Collina è stato sbandierato come panacea dei mali. Per fortuna, l’ipotesi è rimasta tale perché oggi Collina è nel tritacarne della polemica, quella innescata da Agnelli ma non solo. D’altronde, i danni che la classe arbitrale europea diretta proprio da Collina, sono davanti agli occhi di tutti e il responsabile, sia pure non totale è solo, è proprio l’ex arbitro internazionale.
Polemiche che, è la speranza, porteranno ad un’accelerazione dell’introduzione della Var anche nelle coppe europee. Non sarà un processo facile perché un conto è preparare venti arbitri e un altro é doverne preparare cinquanta o cento. Così come non è facile adeguare i campi di mezza Europa all’utilizzo della tecnologica, anche se qui il problema è solo di facciata perché quando si arriva ai massimi livelli europei determinati standard (e quindi stadi adeguati) non sono solo richiesti dall’Uefa ma giustamente pretesi.
Stesso discorso si potrebbe fare per i direttori di gara. Chi vuole essere un’elite (la massima categoria) è giusto che studi e si prepari, al di là del fatto che provenga dalla Francia, dall’Italia o dal piccolo Lussemburgo. Il calcio di oggi impone certi standard ed è arrivato il momento che anche Collina (e con lui il presidente UEFA ) se ne renda conto.
Così come dovrebbe rendersi conto il presidente dell’Aia Nicchi che nel nostro calcio il tempo della politica nel mondo arbitrale è finito. La classe dirigenziale arbitrale italiana deve tornare ad essere super partner, evitando di schierarsi con chi offre loro qualche briciola in più, come ha fatto Tavecchio negli anni passati. Per far capire qual è il ruolo dell’Aia è dovuto intervenire il Coni, che ha ridisegnato gli scenari della distribuzione del potere all’interno delle singole federazioni. Il nuovo statuto della FIGC (ennesima rivisitazione...) toglierà il 2% agli arbitri e lo ridarà alla Lega di A, il cui peso politico va rivisto. Certo, acquisire la percentuale arbitrale non sposterà di molto gli equilibri ed è per questo che si stanno studiando altre soluzioni per trovare qualche altro numero da spostare alla serie A.
Numeri e percentuali che vanno ricercati all’interno delle componenti professionistiche il cui totale si bilancia con quello dei dilettanti, la componente piu vasta e forte del nostro calcio. Così, viene naturale pensare che a rimetterci saranno la Lega di B e quella di C, la cui somma supera di tanto quella della Lega di A. L’idea è quella di ribaltare il peso percentuale in modo da dare peso prioritario alla A rispetto alle altre due leghe che potrebbero anche finire per essere “accorpate” in un unico peso elettorale.
Un processo di rinnovamento che non sarà rapidissimo e che chiederà alcuni passaggi istituzionali, che rinvieranno al prossimo anno (tra febbraio e marzo) la scelta del nuovo presidente federale. Che potrebbe anche essere un traghettatore, visto che alla scadenza del quadriennio olimpico si dovrà comunque andare a votare.