“El matador” infilza Singapore. La seduce guidando divinamente. In testa dal semaforo alla bandiera a scacchi. Pilotando anche gli strateghi dei box illuminati dalle sue geniali invenzioni. Più rapido del principino predestinato, famoso per la sua talentuosa velocità, e freddo e cinico da non credere. Visto che la tuta è rossa, Carlos risveglia i ricordi di mezzo secolo fa, quando a Maranello soggiornava Niki Lauda. Un automobilismo d’altri tempi. Quando si vinceva non spingendo sempre al massimo, ma ragionando e sfruttando tutte le opportunità che la corsa offriva. Un capolavoro di tattica e strategia, oltre che di sublime aggressività. Nella notte magica e umida di un estremo Oriente equatoriale.
Il Cavallino torna sul gradino più alto del podio dopo oltre un anno tribolato e Fred Vasseur ritira per la prima volta la coppa del vincitore. La Red Bull, da parte sua, manca il primo trionfo dopo 14 gemme consecutive. Non aiutata dalla fortuna e dalle safety car, chiude con uno scialbo quinto posto di Max Verstappen, arrivato incollato all’alettone di Leclerc. Giornata nera per George Russell, il giovane nostradamus della F1 (è anche presidente dell’Associazione Piloti...). In un lampo si sono infrante due sue profezie. La prima, la più audace, era che gli austriaci avrebbero dominato tutte le gare del 2023, cosa finora perfettamente realizzata. La seconda, è che sabato aveva detto di poter vincere il Gran Premio perché «aveva un ottimo passo ed un treno di gomme gialle nuove in più rispetto agli avversari».
La previsione, se non ci fosse stato super Carlos su una buona Ferrari, si sarebbe concretizzata. Invece, all’ultimo giro il britannico ha esagerato, toccato il muro e finito la sua rincorsa contro le barriere. Lasciando il podio al compagno Hamilton, anche lui su due soste e doppia copertura media. La Ferrari ha fatto tutto perfettamente in quanto anche ieri non era la più veloce in gara. Ha sfruttato fino al midollo i vantaggi che poteva offrire il circuito a chi era in testa, modellando un feeling con il pilota che ha sfiorato la perfezione. Per merito di entrambi. Frederic, infatti, inizia a concretizzare i primi frutti dell’immane lavoro fatto sulla vettura, ma dopo otto mesi ha cesellato il rapporto umano che è il motore della squadra, facendo muovere i piloti in modo sopraffino.
Un’impostazione che, in passato, era stata più nelle corde di Carlos che di Charles. Approccio diverso rispetto a Monza dove i due ragazzi si sono azzuffati nei giri finali, rischiando un gran botto rosso senza vantaggio per la Scuderia. Vasseur, dopo le qualifiche, ha intuito che si poteva vincere, ma bisognava essere perfetti, senza alcuna sbavatura. Bisognava correre come una squadra e mettere il pilota con più chance nella migliore condizione. Questa volta c’era Carlos in pole, la prossima potrebbe toccare a Charles. Di ciò si è convinto anche il principino. Il manager francese, che ha la fiducia del monegasco, lo ha finalmente persuaso che è meglio per tutti, anche per lui.
Forse per la prima volta da quando è a Maranello, dove lo hanno trattato come se fosse casa sua, Leclerc è partito dalla seconda fila per aiutare il compagno a vincere la gara. Tutti sono scattati con le gialle, a Charles sono state montate le più penalizzanti rosse per guadagnare una posizione in partenza e coprire le spalle a Carlos. Operazione riuscita, ma non si lascia un pilota con le gomme più veloci dietro uno con i pneumatici più duri. La gara, però, doveva essere dello spagnolo che stava magistralmente gestendo le coperture, mentre il predestinato faceva l’elastico, per togliere il fiato sul collo a colui che dovrebbe essere un “amico”.
Nella seconda parte di gara è venuto fuori l’iberico ed è stato divino. Dando lezioni di tattica, oltre che al muretto, anche al “remote garage” a Maranello. Prima ha risparmiato al massimo le Pirelli dicendo di «non preoccuparsi se Norris arrivava in zona Dsr perché la manovra era voluta». Poi, nei giri finali, ha offerto lui stesso il Dsr alla McLaren perché era il solo ostacolo delle Mercedes in rabbiosa rimonta. Così è stato. L’unico modo per completare un’opera d’arte, lo ha attuato la mente umana avendo ragione dell’“intelligenza artificiale”.