Lo studio di Fleet&Mobility si svolge dal 2006 e, invece che sui volumi, misura il mercato attraverso il valore effettivo generato partendo dai prezzi pagati realmente dai clienti.

Le automobili costano sempre di più e nel 2022 sono aumentate del 16% secondo il Centro Studi Fleet&Mobility

di Nicola Desiderio
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Le automobili costano sempre di più e nel 2022 il prezzo medio di acquisto è stato di 28.144 euro, ben 3.847 euro ovvero il 15,7% in più rispetto al 2021. Lo rivela l’annuale analisi del mercato a valore condotta sin dal 2006 dal Centro Studi Fleet&Mobility in collaborazione con DataForce e che rivela anche come il valore dell’intero mercato del nuovo abbia raggiunto 37,6 miliardi (5,6%).

E questo nonostante una decrescita dei volumi da 1,464 milioni a 1,355 milioni di unità immatricolate. La forbice tra l’andamento dei dati di valore per unità e quello di valore totale è inoltre indicativa di quanto i prezzi di transazione – quello che il cliente paga effettivamente al di là degli sconti e delle politiche messe in atto dalle case automobilistiche per i singoli canali commerciali – siano cresciuti. Gli italiani avevano speso una quantità totale praticamente pari di denaro (38,1 miliardi) per comprare le proprie automobili nel 2008, ma allora se ne erano portate a casa ben 2,167 milioni.

D’altro canto, in anni di crisi come il 2013 e il 2014, quando si immatricolarono rispettivamente 1,313 e 1,371 milioni auto, per metterle nel proprio box ci vollero 23,6 e 25,4 miliardi. In generale, dal 2013 al 2019 l’aumento medio del mercato italiano a valore è stato del 2,5% mentre dal 2019 al 2022 è salito al 10,3%, dunque si è più che quadruplicato. È chiaro dunque che la pandemia da covid-19 ha innescato un’accelerazione che si è intensificata: +6,9% nel 2020, +8,4% nel 2021 e, come detto, +15,7% nel 2022.

Spacchettando i dati per canale di vendita, si scopre che sul totale del valore, i privati ne hanno generato il 54% con il 57,8% del volume, le società il 15,2% contro il 13,9% e il noleggio il 30,7% contro il 28,3%. Questo vuol dire che le cosiddette flotte generano un valore proporzionalmente maggiore confermato anche dal valori medi: un privato ha speso in media per la propria auto 26.304 euro, contro i 30.880 euro delle società e 30.560 del noleggio dove si sommano due canali (rent-a-car e a lungo termine) che seguono logiche differente, ma non slegate tra loro.

Andando a vedere le diverse alimentazioni, è l’ibrido (enorme calderone di diverse soluzioni tecnologiche) a generare il 34% del totale contro un valore del 35% dunque in sostanziale equilibrio, l’ibrido plug-in vale il 9% contro una quota del 5%, l’elettrico il 5% contro il 4% di volume, il diesel il 22% contro il 19%. Per la benzina e il gas il rapporto si inverte: rispettivamente 24% contro 28% e 6% contro 10%. E questo indica che chi vuol spendere poco si orienta verso questi tipi di alimentazione. Se Dacia, DR e altri marchi diversi hanno il successo che hanno si vede anche da questi dati.

A questo proposito, basta andare a vedere proprio i marchi singoli per vedere come quelli di massa abbiano percentuali di volume superiori a quelle in valore o al massimo pari mentre i rapporti si rovesciano si rovesciano per i premium. Non a caso, il cliente italiano nel 2022 ha speso per ogni Mercedes 57.873 euro (+10,7%) e a seguire ci sono BMW (54.677, +7%) e Audi (48.461, +5%) mentre in coda ci sono Dacia (16.906, +4,5%) e Fiat (19.867, 0%). Indicativo anche come per quest’ultimi le cifre spese siano cresciute di poco o nulla, mentre per una Mercedes i clienti hanno speso oltre 5.500 euro in più.

Da questo punto di vista, il lavoro migliore lo hanno fatto Kia (+18,1%) e Ford (+11,5%), ma anche Opel (+9,3%) e Citroën (+9,5%). Questi risultati vanno ovviamente ponderati con le quote di mercato. Anche da questo punto di vista Mercedes (dal 3,1% al 3,3%), Kia (dal 3 al 3,3%) e Dacia (dal 4,3 al 5,1%) sono le uniche a vedere una crescita dei volumi tra quelle citate, le altre invece pareggiano o perdono quote di mercato. Toyota procede in equilibrio: +5% di valore e una quota di mercato passata dal 5,7% al 6,9%.

Questi risultati indicano tre cose: i marchi “ricchi” possono proporre più facilmente prezzi superiori e aumenti grazie al loro brand; c’è una polarizzazione tra marchi di massa e premium; allo stesso tempo, la dinamica dei prezzi e delle tecnologie sta aprendo nuove opportunità, non ultime quelle di far valere i propri prodotti senza dover spingere necessariamente sui volumi. I risultati in termini di valore da parte di alcuni marchi indicano che c’è un nuovo modo di fare business e di bilanciare i volumi e le quote con i margini.

Che le auto siano cresciute di prezzo dunque non è solo una percezione, ma una robusta realtà. Ma perché questo accade? Una prima riposta la dà Pier Luigi del Viscovo, ideatore dell’analisi. «Il risultato economico è stato determinato in gran parte dall’aumento dei listini e dalla riduzione degli sconti, che hanno neutralizzato e superato i pur poderosi incentivi messi in campo con i soldi dei contribuenti. Negli ultimi dieci anni – continua del Viscovo – il prezzo medio netto è passato dai 18.000 euro del 2013 ai 21.000 del 2019, prima del Covid, grazie soprattutto all’affermazione dei SUV. Nei successivi tre anni, facendo leva sulla mancanza di prodotto, i costruttori sono riusciti a portare il prezzo medio netto ai valori attuali».

Va detto che ci sono anche altri elementi che hanno spinto i prezzi come i contenuti sempre maggiori per ottemperare alle norme di sicurezza ed inquinamento, costo delle materie prime, carenza di chip… tutti fattori che hanno comportato la riduzione di prodotto disponibile con l’aumento dei prezzi di listino, la diminuzione degli sconti e un incremento sensibile anche dei prezzi dell’usato. E poi ci sono altri fattori legati alla domanda tra cui quello citato da del Viscovo ovvero l’aumento della vendita di suv, mezzi che piacciono, ma che costano di più.

Dunque si vedono meno auto, ma dal valore più elevato e questo sta modificando un business che si distingueva dagli altri per misurarsi attraverso i volumi piuttosto che attraverso la capacità di generare valore. Una distorsione strutturale che si sta riducendo rapidamente sotto la spinta di fattori storici tecnologici, legislativi divisi più sul versante delle necessità che delle scelte. I costruttori e le organizzazioni di vendita ne hanno preso atto con riflessi evidenti sui bilanci e i margini, mai così splendenti. I clienti invece – loro malgrado – hanno dovuto affrontare un’inflazione sostanziale a doppia cifra sul loro principale strumento di mobilità: l’automobile.

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Lunedì 3 Luglio 2023 - Ultimo aggiornamento: 15:11 | © RIPRODUZIONE RISERVATA