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PALMA DI MAIORCA – L'incubo della claustrofobica attesa sta per finire e trasformarsi in un sogno. L'ingegnere e i meccanici che prima erano schierati sulla parte destra del garage si sono spostati su quella sinistra. Vogliono di nuovo sapere se va tutto bene. La risposta è il pollice alzato, anche perché ormai sembra di aver già corso la maratona da quanto si suda in quelle condizioni. Improvvisamente il panorama cambia: il tecnico davanti alla monoposto si allontana e fa quello che tutti hanno sempre visto centinaia di volte in televisione. Si guarda attorno per verificare che non ci sia “traffico” (ma sul circuito Mallorca Llucmajor si gira uno per volta) e poi dà il via libera.
Il piede esercita una leggera pressione sul pedale dell'acceleratore, incredibilmente quella giusta. La Porsche 99X Electric Gen 2 di Formula E da 340 cavalli di potenza massima si muove senza tentennamenti. Poi gira a sinistra, come indica il meccanico e come era stato detto di fare. Chi sta al volante adesso è veramente solo. Per un attimo si ammira ancora il mare della costa di Palma di Maiorca: è l'ultimo momento “normale”. Quello che succede dopo è semplicemente straordinario. Quello che succede è la grande emozioni di sperimentare, in percentuale minuscola, quello che i piloti fanno per vivere.
Il dito va sul pulsante verde e l'avventura comincia. La spinta sul gas è ancora timida per capire non tanto come reagisce la macchina, peraltro gommata ancora Michelin, ma come reagisce chi la deve condurre. Che si preoccupa di non scambiare il freno con l'acceleratore e, soprattutto, viceversa. Le prime due curve vanno bene: poi c'è la discesa con l'ampio cambio di direzione che conduce al rettilineo in salita illuminato dal sole ancora basso. La visibilità non è ottimale, ma a velocità probabilmente tutt'altro che siderali (come se ci fosse il tempo di spostare gli occhi dalla cintura di asfalto al micro schermo) non è il maggiore dei problemi. La staccata è esageratamente prudente, ma a differenza di altre prove (e con altre macchine), si è da soli e non c'è nessuno davanti.
Il tornante stretto in discesa è impegnativo perché manovrare il volante è complicato, ma la monoposto resta in pista. Poi una piccola chicane e quindi un altra curva relativamente stretta. Il circuito è compatto e costellato di tratti in discesa e salita. La sensazione di claustrofobia è miracolosamente sparita. Il tracciato sembra anche improvvisamente corto, perché in un tempo che sembra breve si è già sotto la torre: il primo giro è andato e la Porsche è ancora intera. Lotterer e l'ingegnere avevano suggerito di non esagerare nell'ingresso alla curva dopo il “traguardo”. Un avvertimento che non si dimentica. Nel secondo giro si prova ad accelerare di più e ad aggiustare le traiettorie, ma il tornate del rettilineo riporta alla realtà: la macchina sibila sfiorando il terreno oltre l'asfalto, ma resta nel tracciato.
Dopo tre giri si passa dai box e in risposta alle domande dell'ingegnere scatta una sola richiesta: «Non fatemi cercare di prendere troppa confidenza con la macchina», ammette il cronista da sotto il casco. Per restare un sogno tutto deve restare com'è: al tempo, alla velocità massima, alle staccate e alle giuste direzioni si penserà un'altra volta. Che potrebbe anche non esserci, ma va bene lo stesso. Poi gli ultimi 4 giri: adrenalina e gioia allo stato puro per poter vivere (e raccontare) quello solo pochissimi “umani” possono fare, incluso esagerare con l'acceleratore e ritrovarsi a dover controllare un bolide da 280 km/h. Grazie a Porsche un sogno, per quello che vale, condiviso almeno nel resoconto.