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PALMA DI MAIORCA – Meccanici e ingegneri sorridono. Poi diventa chiaro che il primo a non prendersi sul serio (e come potrebbe?) è proprio quello che sta cercando di “accomodarsi”, si fa per dire, nell'abitacolo. Che dopo aver scritto di Formula E fin dalla prima stagione si chiede come facessero i piloti a eseguire con quella rapidità il cambio macchina dei primi campionati. Un'epoca pionieristica che la Tag Heuer Porsche non ha vissuto, perché ha debuttato nel mondiale elettrico con le più evolute monoposto Gen 2 capaci di terminare un ePrix con una singola carica della batteria.
Le procedure successive ricordano la “tumulazione”. Già la prova sedile aveva evidenziato come i movimenti delle braccia fossero limitati, ma da dentro la monoposto lo diventano ancora di più. Il rispetto per l'operato dei piloti aumenta ulteriormente, anche se, viene sottolineato, quello è il loro lavoro. Un meccanico infila le mani dentro il muso del bolide a zero emissioni dove si sono improvvisamente aperti due fori dai quali spuntano alcuni attrezzi. Le gambe sono ancora piegate: non va bene, devono essere distese. Con il piede sinistro si schiaccia il pedale del freno, con quello destro quello del gas.
Fa scorrere quello che può far scorrere e, in tedesco, spiega che gli spostamenti sono comunque limitati, come se chi è a bordo fosse in grado di distinguere la differenza. Per il momento si rende conto che è tutto terribilmente stretto. La “tortura” prosegue con l'ancoraggio alla macchina, che rispetto ad altri bolidi da pista già provati appare un ulteriore supplizio. Con gli arti inferiori praticamente immobilizzati (solo i piedi si possono muovere), vengono passate le cinture sulle spalle e incrociate e fissate con quelle che legano la parte bassa del busto, giusto poco sopra i... gioielli di famiglia che in quel momento sembrano a rischio. «Va tutto bene?», sembra di sentir dire a una voce in inglese che rimbomba dentro il casco. «Sono stato meglio», è la risposta istintiva, con una precisa richiesta sulla ragione di tanto accanimento nei confronti di un cronista. La diplomazia ha la meglio e pare che gli astanti capiscano che il tumulato sostiene di essere ancora in grado di respirare, ma che magari un leggero allentamento delle “corde” verrebbe cordialmente apprezzato.
Come se lo spazio non fosse già abbastanza ridotto, a un certo punto un meccanico infila perfino il volante: finora non c'era stato il tempo di accorgersi dell'assenza di questo “dettaglio”. Lo sconforto a questo punto ha il sopravvento: ci sono pulsanti dieci colorati, almeno sei leve, due cursori e uno micro schermo con decine di numeri su sfondi di varie tinte inseriti in diversi riquadri per i quali ci si chiede quante ore servano per imparare a capire e usare. Correttamente, s'intende. Provvidenziale, la solita voce in inglese tranquillizza: «Vanno impiegati al massimo tre comandi e un quarto solo in caso di emergenza estrema», spiega. Anche volendo, da italiano maschio, non c'è nemmeno modo di portare le mani dove si mettono scaramanticamente di solito.