Tom Kristensen, il pilota danese ha vinto per 9 volte la 24 Ore di Le Mans. L'ultima nel 2013.

Fattore K, “Monsieur Le Mans” scrive per Il Messaggero: Le Mans, la sfida più grande

di Tom Kristensen
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LE MANS - Ho iniziato la mia carriera in una stazione di servizio. Avevo 9 anni, mio padre era un pilota e non sapevo cosa fosse la 24 Ore di Le Mans. L’ho imparato quando vidi il film “Le Mans” e iniziai a seguire la gara, soprattutto quando correvo in Giappone all’inizio degli anni ’90. Cominciai allora a dire che un giorno mi sarebbe piaciuto correrla. Ogni pilota di go kart vuole andare in Formula 1, ma quando cresci e ti accorgi di cosa sia la Le Mans, vedi che è molto di più: è la più grande sfida dello sport motoristico. Ma questo lo seppi più tardi, quando mi fu proposto di correre a Le Mans nel giugno del 1997.
 

 

Fui contatto per telefono dalla Joest Racing solo due giorni prima del via. Le prove preliminari erano già state concluse da Michele Alboreto e Stephan Johansson e non avevo molto tempo per amalgamarmi con il team, ma ero concentrato al massimo e loro mi accolsero molto bene, mi abbracciarono, specialmente Michele che era il pilota di maggiore esperienza. Così facemmo la pole position, il miglior tempo in gara e vincemmo. Ho avuto altri compagni italiani come Emanuele Pirro e Dindo Capello e con loro ho condiviso praticamente tutto rendendo il mio periodo in Audi un viaggio fantastico.

Alla Le Mans ho visto così tanti piloti difficili da battere, tra i concorrenti, ma anche all’interno del team e io rispetto tutti quelli che hanno completato la corsa, specialmente quelli che sono saliti sul podio dimostrando di poter puntare alla vittoria di una gara così lunga. Vincere a Le Mans dà sensazioni fantastiche e la ricetta per riuscirvi è di guardare sempre avanti per capire cosa sta per cambiare nella gara. Certo, la ricetta sta in come prepari la corsa, ma non basta mai perché devi stare sempre allerta e cambiare la strategia quando è necessario. Ci vogliono un team forte e la macchina più veloce, ma se non lo è, devi almeno sentirla tua per permetterti di attaccare e guidare al meglio. Tutte le mie vittorie sono importanti, ma la più difficile è stata quella del 2008.

Tutti aspettavano che i nostri concorrenti vincessero. Avevano la macchina più veloce, ma a Le Mans vince la macchina migliore e quella fu la vittoria perfetta, perché tutti del team ne furono parte. Durante tutti questi anni la tecnologia ha cambiato molto le corse. Quando ho iniziato avevamo i fari alogeni, poi quelli allo xeno e alla fine della carriera gli abbaglianti laser così che potevamo andare forte di notte come di giorno. Audi ha anche un display per vedere dietro che è molto utile a Le Mans perché sai esattamente cosa fa chi è dietro di te, molto meglio che con gli specchietti tanto che non si usano quasi più.

La tecnologia ha spinto anche la messa a punto della macchina. Una volta gli ingegneri potevano affidarsi solo al responso del pilota, ora ci sono così tanti dati che non è più così e si può cambiare la configurazione in un tempo molto più breve. Ho corso e vinto con i motori ad iniezione diretta, col diesel e con l’ibrido e abbiamo ridotto il propulsore da un V12 biturbo TDI all’attuale V6 monoturbo e ora consumiamo oltre il 40% in meno anche grazie all’ibrido. C’entra anche lo stile di guida: anticipiamo un po’ la frenata, anche se stacchiamo sempre forte, e guardiamo di più ai numeri della strumentazione. L’elettronica ti permette di cambiare strategia e reagire molto velocemente, prima era invece «Che succede? Che facciamo ora?».

Molte cose sono cambiate in questi anni, l’Audi è cresciuta eppure mi sono sempre sentito a casa e sono stato molto felice. Credo nell’essere umano nelle corse, credo che in queste categorie valga di più che in altre e la mia vita è stata un lavoro di gruppo: per questo penso che vedere sempre intorno a me gente felice sia la cosa più bella che un pilota possa desiderare.
 

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Venerdì 17 Giugno 2016 - Ultimo aggiornamento: 18-06-2016 11:32 | © RIPRODUZIONE RISERVATA
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