Torna l’alba rossa. Riemerge la doppietta Ferrari. Un vero trionfo, con un’unica incognita: se al cannibale non fosse inaspettatamente esploso l’impianto frenante, sarebbe finita allo stesso modo? Temiamo di no. Ma sicuramente un Sainz in stile superMax avrebbe dato in ogni caso filo da torcere all’olandese volante. Carlos sa sempre quello che dice e dopo le qualifiche aveva dichiarato: «Posso vincere? Se faccio tutto bene, credo di sì». E così è stato. Quindi, non un fulmine a ciel sereno, ma un Cavallino in grande forma e un pilota in stato di grazia hanno magnificamente sfruttato la bandiera bianca del campione del mondo per concludere passeggiando quello che avevano preventivato prima di imbarcarsi per l’Australia. Il tracciato di Melbourne è amico, la SF-24 sincera e reagisce alle regolazioni: un’ottima base su cui poter lavorare. Era arrivato il momento di mettere il sale sulla coda alla Red Bull numero uno e ciò sarebbe in ogni caso accaduto.
L’alzataccia è stata ripagata. L’acciaccato figlio d’arte, sotto gli occhi esperti di papà planato agli antipodi per coccolare il ragazzo, ha mantenuto gli occhi da tigre che aveva già il sabato, nonostante una settimana a letto per riprendersi dall’operazione. Quando si è spento il semaforo, ha preso la scia di Verstappen, facendosi vedere subito negli specchietti. Dopo poche curve, con un’autorità sorprendente, ha attaccato Max all’esterno per infilzarlo come un pollo allo spiedo. Chiaro che non era vero. Anche una Rossa in grado di trionfare in Australia, ed un driver disposto a tutto per dimostrare che non meritava a fine anno di essere accompagnato alla porta, non avrebbero avuto l’ardore di mancare così tanto di rispetto al pilota che cercava la decima vittoria consecutiva e da ben 43 gare vedeva la bandiera a scacchi, quasi tutte arrampicandosi sul gradino più alto del podio.
Cosa era accaduto allora? L’affidabile Red Bull aveva già preso il via con il freno posteriore destro fuori uso e, in pochi chilometri, è andato a fuoco esplodendo. Nei momenti topici emerge l’istinto. L’orange, con gli occhi di ghiaccio, ha gelato i vertici della squadra: «Ma siete pazzi. Che macchina mi avete dato...». Dopo pochi minuti Max cambiava versione: «Un guasto tecnico, sono cose che capitano. Ed è accaduto». Senza il capobranco in pista, si poteva credere in un gran premio diverso. Magari molto più combattuto. Le McLaren erano in forma sul passo gara e il principino era lì, ad un tiro di scoppio. Avrebbe potuto recuperare, magari favorito da un ordine di scuderia: lui è il pilota riconfermato, lui sarebbe andato in testa al Mondiale in caso di trionfo. Invece, nulla di tutto questo.
Lo spagnolo è andato via deciso, Charles accusava ritardo giro su giro, soprattutto dopo che Vasseur gli aveva mandato a dire di non attaccare il compagno. A poco più di un anno dall’insediamento, i tifosi iniziano a conoscere il francese. A parte le sue competenze tecniche (Fred è ingegnere aeronautico), le capacità organizzative e l’attitudine alla leadership, Vasseur è quasi imbattibile nella gestione dei piloti e nelle strategie di gara. Spesso anticipa le “intuizioni” che provengono dai computer del “remote garage”. A parte la favola antica quanto il mondo della prima e seconda guida, il manager sa benissimo che nella Formula 1 attuale puoi benissimo perdere una gara già vinta se non adegui il ritmo al potenziale della macchina e, soprattutto, delle gomme.
Così, può succedere che le due gare che Maranello ha vinto da quando lui è al comando sono entrambe finite nel carniere di Carlos e zero in quello del predestinato. Il monegasco è meno sveglio o fortunato dello spagnolo? Neanche a parlarne. Anzi, Charles è senz’altro più travolgente e, probabilmente, più rapido nel giro secco. Ma quando serviva è stato il ragazzo di Madrid a trovarsi nel posto giusto al momento giusto e il team principal non guarda in faccia nessuno quando fiuta la preda per la squadra. I piloti lo sanno e si adeguano. Conoscono la sua imparzialità ed eseguono gli ordini. Anche un puledro di razza come Leclerc che faceva fatica a piegarsi quando le stesse cose le diceva Mattia Binotto.
Frédéric ha scelto Charles e non Carlos per stare a fianco di sua maestà Hamilton. Ad uno così non puoi non essere assolutamente fedele. Certo, sceso dalla monoposto, il purosangue sprizzava una delusione tagliabile col coltello, ma è assolutamente umano. Come stracolmo di affetto reciproco era l’abbraccio fraterno fa Carlos e Fred: insieme fino alla fine, senza rancore. Sul podio è finito Norris, davanti al compagno Piastri. Un disastro le Mercedes, entrambe ritirate con Russell invitato a muro da Alonso che è stato penalizzato dopo la solita gagliarda corsa.