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MILLERUOTE
di Giorgio Ursicino
Una gigapressa della Idra per Tesla

Tesla rivoluziona le fabbriche di auto, le giga-presse sono made in Italy

di Giorgio Ursicino

Arrivano le mega-presse. Anzi le giga-presse. L’uragano che si è abbattuto sul mondo dell’auto, cambiandone confini e orizzonti, non si limita alla transizione energetica per rendere tutti i veicoli in “zero emission”. Il settore della mobilità sta entrando in una fase nuova, estremamente più dinamica. Piena di innovazione e brio come non si vedeva più dall’inizio del secolo scorso, quando i motori a scoppio soppiantarono l’antica trazione animale. Il cambio di vento nella direzione del rispetto ambientale ha risvegliato interessi sopiti. La speranza di trasformare tutto il parco circolante globale in qualcosa che non inquini e non causi vittime grazie alla guida autonoma, ha attratto nuovi protagonisti molto più moderni e danarosi, capaci di investimenti ingenti raccogliendo risorse nel ricco mercato dei capitali.

In più, questo cambio di passo ha creato nuove opportunità di business, essendo entrati nella partita ambiziosi “tycoon” avvezzi a lavorare con margini rilevanti e non con ritorni poco intriganti a cifra singola come si erano abituati i tradizionali costruttori automotive che non riuscivano a entrare fra gli attori predestinati della “new economy”. Con questa diversa andatura, la mobilità assume un ruolo inedito. La terra promessa si candida come uno dei settori più tecnologici e avanzati dei prossimi trent’anni dove, non solo le corporation, ma anche gli Stati vogliono mettere il proprio cappello. Dietro gran parte di questo ci sono i cinesi e gli americani, con gli europei spaesati per aver visto ribaltare un orticello di cui si consideravano quasi padroni. Certo, ci sarà una reazione e la sfida si farà entusiasmante.

Allo stato dei fatti Pechino fa paura per i suoi grandi numeri e l’elevata capacità produttiva a costi contenuti, ma la capacità di innovare sembra guidata dall’altra sponda del Pacifico, negli States. A stabilire le nuove regole del gioco è la Tesla dietro la quale c’è il nome ormai quasi mitico di Elon Musk. Razzi, satelliti, comunicazione, intelligenza artificiale, dove c’è innovazione rilevante c’è l’inventore di origini sudafricane. Per quanto Elon sia geniale e sorprendente, alcune volte si ha l’impressione che dietro di lui ci sia la “potenza economica” americana impaziente di riappropriarsi di comparti tornati strategici. La Tesla in soli dieci anni è diventata il riferimento mondiale con un dominio assoluto dal punto di vista della capitalizzazione. Per far ciò servono buone idee e piani industriali coraggiosi, ma anche la “simpatia” e il feeling degli analisti di Wall Street. È come il gatto che si morde la coda: più arriva in alto, più viene spinto in alto.

L’azienda texana, con profonde radici nella Silicon Valley, ha il mondo ai suoi piedi. Non solo perché produce eccellenti vetture a batterie, ma perché è andata a toccare parti del precedente sistema che erano un po’ obsolete, ma non trovavano nessuno che avesse l’ardire di rinnovarle. Musk, o chi per lui, ha creato una rete globale di ricarica ad alta potenza di cui è proprietaria. Ha cambiato l’intero sistema di vendita puntando tutto sulle vendite online in modo da tagliare drasticamente i costi. E, non ultimo, ha messo il naso all’interno delle fabbriche portandoci, non solo i motori elettrici e le batterie, ma anche sistemi industriali mai visti in precedenza che semplificano le procedure alleggerendo le risorse. Ecco le mega-presse o giga-presse perché sono state introdotte proprio da Tesla che è senz’altro in vantaggio su tutti i rivali impegnati a reagire.

Da ormai molti decenni gli stabilimenti completi di veicoli avevano quattro “stazioni”: stampaggio, lastratura, verniciatura e assemblaggio. Il costruttore Usa ha messo le mani sui primi due, sicuro che si potessero rinnovare, rendendoli più semplici e meno costosi, soprattutto dal punto di vista dell’energia richiesta. Lo stampaggio avveniva con presse al massimo da 5mila tonnellate che lavoravano lamierati a freddo o leggermente riscaldati per renderli un po’ più malleabili. Musk è partito da qui. Ha voluto presse più potenti che lavorano i metalli fusi in modo da stampare pezzi più grandi e resistenti. Meno componenti ci sono, più snella è la ferrolastratura, il reparto di una fabbrica automotive dove ci sono tanti robot che rubano spazio, tempo ed energia.

Il processo ha subito un’accelerazione con la Model Y e l’impianto di Shanghai. Una gigantesca iniezione di metallo fuso e la compressione per avere il mega pezzo in soli 30 secondi. Circa 120 l’ora, quasi 3mila al giorno perché una gigapressa si dà da fare 24 ore al giorno. Poi la tecnologia si è estesa anche agli altri siti e ora farà un ulteriore balzo avanti nello stabilimento texano di Austin dove sta partendo la produzione del cybertruck, il pick up del futuro. Chiaramente elettrico. Per giunta queste gigapresse in grado di lavorare metalli in fusione sono made in Italy e Tesla ha il suo fidato fornitore bresciano (Idra). Un valido esempio di come, quando serve l’eccellenza, il genio tricolore fa spesso la differenza. Le prime Idra da 6mila tonnellate lavorano grandi pezzi della Y negli impianti di Fremont, Shanghai e Berlino.

Quella spedita dall’azienda lombarda ad Austin pare che si spinga a 9mila tonnellate perché modella acciaio fuso invece di alluminio, creando pezzi giganti per fare il cybertruck con una scocca indistruttibile. Maggior qualità a un costo inferiore perché i robot, e l’energia relativa che consumano, non servono quasi più visto che i particolari da mettere insieme si contano sulla dita di una mano. L’attuale comune tecnologia, che usa lo stampaggio di lamiere a freddo, richiede la lavorazione di centinaia di componenti che prima vanno modellati e poi uniti insieme. Un puzzle. Questo sarebbe il risparmio che Musk sta facendo nel sistema industriale che, sommato a quello commerciale, consente a Tesla di avere prezzi imbattibili, più bassi di quelli cinesi.

La Model 3, di cui a settembre Musk non ha avuto neanche un esemplare da inviare in Italia, è una berlina lunga oltre 4,7 metri che costa, più o meno, la metà di una concorrente premium con il motore termico. Mentre gli altri (cinesi compresi...) si guardano intorno e provano le gigapresse per vedere come si fa, Musk avrebbe ordinato macchinari da 16mila tonnellate che servirebbero a plasmare l’intero pianale della “piccola 2”. All’inizio dovrebbe nascere nei nuovi stabilimenti che sorgeranno in Messico e in Francia, poi lo sbarco in India.

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Venerdì 20 Ottobre 2023 - Ultimo aggiornamento: 13:32 | © RIPRODUZIONE RISERVATA