SAN PAOLO – Con i suoi quasi 90 ePrix disputati (88 per la precisione e con appena 9 ritiri), il 36enne britannico Oliver Turvey è ancora uno dei “senatori” della Formula E. Ha esordito nel mondiale elettrico nelle ultime due gare della prima stagione, nel 2015 a Londra, ed ha appeso il volante al chiodo al termine dell'ottava. Il suo miglior risultato è stato il secondo posto a Città del Messico con la Nio nella quarta edizione della rassegna. Adesso è consulente e pilota di riserva alla Ds Penske, la scuderia franco americana che schiera due campioni del mondo per un totale di tre titoli iridati: Jean Eric Vergne e Stoffel Vandoorne. Ai box sembra una sorta di “ufficiale di collegamento”.
Ti mancano la pista, le gare, la Formula E?
«Ho sempre voluto giocarmela e naturalmente preferirei gareggiare. Ma poter lavorare con una delle scuderie di vertice, in grado di vincere in ogni momento e imparare ulteriormente è una cosa interessante. Ho esperienza in Formula E, ma anche in altre classi e questa è un'occasione per vedere le cose da un altro punto di vista e per essere competitivo fuori dalla pista».
Studi da team principal, insomma. Il posto in Maserati è sempre vacante...
(ride) «Quello che ho è un buon posto: sono ancora pilota di riserva, provo con la squadra, potrei ancora gareggiare e ho anche la possibilità di accumulare ulteriore esperienza».
Ti piace come è cresciuta la Formula E in questi anni?
«Mi sembra che quello che il campionato ha fatto dalla fine della stagione inaugurale sia straordinario: lo sviluppo è stato massiccio basti pensare all'aumentata velocità delle monoposto e alla maggiore capacità di rigenerazione».
E gli EPrix?
«A me pare che siano tre le gare migliori, sempre tirate. È un bel campionato, anche se capisco che tutti vogliono che la Formula E cresca ancora. Il formato è strategico, perché ciò che interessa è che il pubblico apprezzi la competizione. Ma ai piloti deve continuare a piacere guidare queste macchine».
Meglio i circuiti cittadini o quelli fissi?
«Il Dna è quello dei tracciati urbani, però le macchine diventano più veloci e alcuni non sono più adatti. Abbinare gli uni agli altri è interessante perché offre la possibilità di esplorare opzioni diverse».
Però alcune delle gare meno spettacolari si sono corse nelle piste permanenti...
«Dipende anche dai circuiti che scegli».
Qualche esempio?
(ride di nuovo) «Mettiamola così, allora. Personalmente ritengo che il campionato dovrebbe concentrarsi su alcuni circuiti permanenti e avere comunque la maggioranza di tracciati cittadini, anche se va considerato che non è semplice realizzarne di validi in ogni contesto».
È veramente così importante la velocità? Dalle tribune o in tv mica si capisce: gli appassionati vogliono i sorpassi.
«La Formula E deve almeno sembrare veloce e deve essere spettacolare, anche con strategie differenti. Però deve distinguersi da altre classi: non può permettersi di essere uguale, nemmeno sul design delle monoposto, che a mio avviso dovrebbe avere linee più spinte, più futuristiche».
I piloti? Qualcuno sostiene che in Formula E ci sia la miglior griglia...
«Sicuramente sono molti forti, praticamente tutti sono molti bravi. Sono convinto che sia uno dei campionati con il miglior campo partenti».