Il gruppone delle LMP1 in una recente gara del WEC

Sabato a Le Mans scatta la mitica 24 Ore:
il fascino della corsa più bella del mondo

di Giorgio Ursicino
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LE MANS - «Ladies and gentlemen start your engines», signore e signori accendete i motori. Era questa la frase che un tempo dava il via alla gara automobilistica più famosa del mondo. Quando l’America era ancora da scoprire, i migliori piloti di F1 attraversavano l’Atlantico per correre la 500 Miglia di Indianapolis e sognare di vincerla. Alcuni ci riuscivano pure.


Così fecero Jim Clark al volante della Lotus nel 1965 e Graham Hill, infilato in una Lola, l’anno successivo. I tempi cambiano e l’antica rivale di Indy ha messo la freccia, diventando l’appuntamento più ambito del calendario planetario della velocità. Per carità, il Campionato del mondo di F1 e il relativo titolo restano l’Everest dei motori che rombano, ma come gara secca non c’è partita: la più ambita e prestigiosa è la 24 Ore di Le Mans, la regina dell’endurance che il prossimo weekend non lontano da Parigi manderà in onda l’edizione numero 82.

Se qualsiasi pilota, anche il più forte, che non ha mai vinto a Le Mans vi dicesse di non voler scambiare la sua vittoria più importante con una trionfo alla “24 Ore” non credetegli. Sta mentendo. Da Hamilton a Vettel, da Rosberg ad Alonso, tutti sperano un giorno di spruzzare champagne dal podio della Sarthe. Una scena a tal punto irrealizzabile che molti nemmeno tentano l’avventura. Sabato pomeriggio alle 15 in punto sarà proprio il campione spagnolo della Ferrari a sventolare la bandiera francese che scatenerà l’inferno per 1.440 interminabili minuti tra 56 vetture decise a darsi battaglia senza sprecare nemmeno un secondo per cercare di percorrere un centimetro in più.

Certo, come dice Ickx, «conquistare la maratona francese è più difficile che vincere un gran premio». Nel secondo caso, infatti, può bastare essere un buon pilota ed avere la monoposto migliore. Nel primo, invece, questo “pacchetto” non è sufficiente, bisogna avere anche due formidabili compagni, una squadra affiatatissima, un’auto veloce e affidabile perché basta un piccolo inconveniente e addio sogni di gloria. Prima di partire sembra una missione impossibile. Troppi i tasselli devono andare al posto giusto per salire sul gradino più alto del podio. E proprio questo aspetto la rende magica.

È come correre una quindicina di gran premi uno di seguito all’altro. Senza respirare. Senza mai mollare. Concentrazione, visione, lucidità sono altrettanto importanti di velocità, grinta, determinazione, coraggio. Un mix prelibato nel quale hanno una parte fondamentale gli aspetti tecnici e quelli tecnologici, la genialità e la capacità di innovare, la robustezza e l’affidabilità. In pochi conoscono il bravo e simpatico Ryan Hunter-Reay che nei giorni scorsi si è messo in bacheca l’edizione numero 92 della 500 Miglia dell’Indiana zeppa di vecchie glorie (anche Montoya e Villeneuve).

Al via di Le Mans, invece, ci sarà Mark Webber che il primo giugno ha dovuto superare il rookie-test (la prova degli esordienti) dopo aver deciso di scendere dalla monoposto più veloce del pianeta che nel 2013 ha vinto gli ultimi 9 gran premi per far parte della squadra con cui la Porsche torna alla 24 Ore per vincere. Il valore, lo tradizione e il fascino della gara francese sono raccontati con emozione in queste pagine da protagonisti di grande spessore che hanno scritto per “Il Messaggero” come il presidente della Ferrari Montezemolo e quello del Coni Malagò e da assoluti protagonisti come Jacky Ickx (ha trionfato 6 volte a Le Mans) ed Emanuele Pirro (5 vittorie e 9 podi di fila, un’impresa mai riuscita a nessuno).

Sfogliando il libro della corsa si ripercorre la storia dell’auto. Nell’albo d’oro nomi da brividi, sia come costruttori che come piloti. L’era della Bentley poi quella dell’Alfa. Seguì la Bugatti scalzata dalla Ferrari che negli anni ’50 si alternò con Jaguar, Mercedes e Aston Martin. Nei primi anni Sessanta il dominio del Cavallino fu totale (6 vittorie di fila) e si concluse nel ’65 con il trionfo di Rindt con la 250 che segui quello del preside volante Vaccarella con la 275. In quell’anno Maranello era la capitale di Le Mans e dominava la classifica delle vittorie (9, la Jaguar era a 5 come la Bentley) per marca. Poi la sfida americana lanciata dalla Ford e per 4 anni di fila la Coppa finì a Detroit, adagiata sul cofano della mitica GT40.

Nel 1970, con l’epica battaglia Ferrari-Porsche (poi diventata il film interpretato da Steve McQueen), iniziò l’era della casa di Stoccarda che tuttora è la Casa che ha vinto di più (16 trionfi). Il resto è cronaca, ma già profuma di storia con i quattro anelli dell’Audi che hanno monopolizzato 12 delle ultime 14 edizioni (contrastati soprattutto da Peugeot vincitrice nel 2009), introducendo innovazioni rivoluzionarie (il primo trionfo del diesel). Fra i piloti Kristensen che sabato sarà al via con la R18 e-tron punta alla decima Le Mans. L’unico a conquistare la “triple crown”, però, è stato Graham Hill (il papà di Damon) che, oltre alla 24 Ore, ha vinto anche Indy 500 e il titolo di F1.

Tripla corona sfuggita di un soffio a Mario Andretti e Jacques Villeneuve arrivati entrambi “solo” secondi a Le Mans, un piazzamento ottenuto anche dall’attore Paul Newman nel 1979. Quest’anno la gara sembra tornata agli anni ruggenti. La regina regnante Audi non ha nessuna intenzione di abdicare (schiera 3 bolidi), ma dovrà rispondere al ritorno della precedente sovrana Porsche (2 vetture) che rientra ai massimi livelli dopo un esilio di 16 anni. La favorita, però, se così si può dire a Le Mans, potrebbe essere la Toyota con la favolosa astronave ibrida TS40 da mille cavalli. La belva giapponese ha trionfato nei primi due appuntamenti del WEC (World Endurance Championship) a Silverstone e Spa e messo le sue due vetture in testa alla lista dei tempi più veloci negli ultimi test sul circuito della Sarthe lo scorso primo giugno.

La bravura dei drivers è solo una spolverata di gloria su capolavori da favola, le vetture più belle e avanzate mai viste in circolazione, l’antipasto di come un giorno saranno tutte le auto: ibride, efficientissime, con la trazione integrale e tanta elettronica. Il regolamento è libero, c’è solo una quantità di energia a disposizione, vince chi la utilizza meglio, a prescindere dalla cilindrata, dall’architettura dei motori, dal tipo di carburante: V8 contro V4, gasolio contro benzina, un elettrico contro due. I bolidi 2014 consumano il 25% in meno di quelli dello scorso anno e andranno più veloci (la pole sarà migliorata, la distanza totale in gara dipende da tanti fattori).

Non mancano il garage 56, anche quest’anno riservato alla Nissan con la sua rivoluzionaria Zeod, e il banco di prova insostituibile per pneumatici e componenti dove spiccano Michelin e Bosch, la prima delle quali è fornitrice di tutte le principali scuderie. Una sfida nella sfida, ruote di grande diametro (18 pollici) come le supercar stradali, costanza di prestazioni con tempi che non scendono nemmeno dopo centinaia di chilometri. Nel 2015 la partita diventerà un poker perché al terzetto si aggiungerà Nissan con un LMP1 già ufficialmente battezzata GT-R. Ma, si sa, i tifosi non ci accontentano mai e quale migliore occasione questa per lanciare qualche idea.

Le parole di Montezemolo sprizzano passione ed emozione, sembrano quasi una promessa. Chi meglio di lui (ha portato al Cavallino più vittorie di Enzo Ferrari) sa cosa fare nelle corse. Ma la Rossa è il simbolo della F1 dove presto tornerà a vincere e forse due programmi di altissimo livello potrebbero essere troppi. La sofisticata tecnologia di Maranello (sta nascendo una nuova “Gestione Sportiva” spaziale) è invece indispensabile all’Alfa se volesse puntare sulla sua gloriosa tradizione sportiva (ha fatto quaterna di fila a Le Mans negli anni ’30) per supportare il grande piano di rilancio (400 mila vetture vendute nel 2018 in tutto il mondo). Un invito anche a Carlos Tavares, il nuovo boss di PSA, il presidente «più veloce del mondo» (oltre che un eccellente collaudatore è anche ottimo pilota): quale migliore compito per il Leone Peugeot se non difendere con gli artigli il giardino di casa?

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Lunedì 9 Giugno 2014 - Ultimo aggiornamento: 13-06-2017 15:07 | © RIPRODUZIONE RISERVATA