Tom Kristensen con la sua Audi R18 e-tron

L'incredibile impresa di Kristensen:
a caccia del decimo trionfo a Le Mans

di Sergio Troise
  • condividi l'articolo

LE MANS - Vincere la 24 Ore di Le Mans vuol dire entrare nella storia: l’impresa regala fama imperitura e assicura un posto fisso tra i miti dello sport. Perché? Forse per la capacità di rimanere sempre uguale a se stessa, esaltando la modernità e salvando la tradizione: la gara più lunga, più dura e più affascinante del mondo è nata negli anni Venti, quando l’automobilismo non era uno sport ma un’avventura da pionieri, i piloti erano eroi e il loro ardimento era considerato pari a quello dei primi aviatori.


Oggi le cose sono ben diverse: le auto sono gioielli di tecnologia, tutto è calcolato, testato, controllato fino al minimo dettaglio e – se vogliamo – prevedibile. Ma è intatto il fascino della corsa che dura un giorno intero, con il lungo brivido della notte in gara, i fari che tagliano il buio come lame lucenti, e poi le tenui luci dell’alba che avanza, l’atmosfera dei box carica di una tensione che dura 24 ore e, attorno, la passione di spettatori instancabili, divisi tra i loro idoli in pista e i bivacchi d’un weekend rombante e fuori dell’ordinario.

Al volante, poi, ci sono pur sempre degli uomini, anche se preparati in palestra e allenati al simulatore. E vincere la 24 Ore resta un’impresa in cui l’elemento umano gioca ancora un ruolo decisivo, degno di ricongiungersi idealmente alle audaci avventure del secolo scorso. Immaginarsi poi se le vittorie conquistate lì, nella corsa più lunga, più dura e più ricca di fascino, sono più d’una.

E’ il caso di Tom Kristensen, danese di Hobro, classe ‘67, specialista delle gare di durata e recordman della 24 Ore con nove vittorie. Nome sconosciuto a chi non mette il naso oltre il recinto della Formula 1 (dove il pilota nordico ha svolto, ai margini della grande platea televisiva, ruoli da collaudatore, lavorando per Minardi, Tyrrell, Williams, Jaguar), Kristensen vanta un passato prestigioso in monoposto, avendo vinto tra l’altro il titolo europeo di Formula 3 nel 1991, subito dopo un certo Michael Schumacher. Ma in carriera ha dato il meglio di sé al volante di vetture Sport-Prototipo impegnate nelle gare endurance.

Con la Porsche del Team Joest la prima vittoria di Kristensen nella 24 Ore del ’97; poi i trionfi a raffica dagli anni 2000, dominati guidando le auto del Gruppo Volkswagen, soprattutto Audi, ma anche la Bentley, tornata sulla scena nel 2003 dopo oltre 70 anni di oblio. Si deve anche a Kristensen, oltre che all’Audi, lo “sdoganamento” dei motori diesel, per non dire del salto nel futuro (ormai presente), con la tecnologia ibrida applicata alle corse. In qualche modo un pioniere anche lui.

Diversa la vicenda sportiva di Jacky Ickx, campione del secolo scorso cimentatosi sia in Formula 1 sia a Le Mans, per non dire delle trionfali avventure nella Parigi-Dakar. Due volte vice campione del mondo con le monoposto della massima categoria (1969 e 1970, al volante di Brabham e Ferrari), il pilota belga ha vinto per ben sei volte la 24 Ore, tanto da guadagnarsi l’appellativo di Monsieur Le Mans: un “titolo” onorifico rimastogli addosso, indelebile, anche dopo il sorpasso di Kristensen, l’ormai quasi cinquantenne superman del nuovo secolo.

Tutti tra gli anni 60 e 80 i successi di Ickx. Formidabili le imprese nel ’75-’76-’77, quando vinse tre volte di seguito al volante della Ford e della Porsche 936 della Martini Racing. Pilota completo, veloce, redditizio, ma anche molto serio, responsabile e meticoloso nell’affrontare i rischi del mestiere, Ickx è ricordato per un gesto plateale, compiuto nel 1969, che cambiò la storia di Le Mans: alla partenza si rifiutò di correre da un capo all’altro della pista per montare in macchina e prendere il via senza allacciare la cintura di sicurezza, come usava all’epoca. Attraversò la strada a passo lento, entrò in auto con calma, si allacciò la cintura e poi partì, mentre gli altri s’erano già involati. Nonostante il ritardo accumulato in partenza riuscì poi a vincere la gara, anche se per soli 120 metri, regalando alla Ford il successo ai danni della Porsche. Con la sua dimostrazione, Ickx ottenne il cambio della procedura di partenza: dal 1970 a Le Mans si dà il via lanciato, con le auto in movimento, in nome della sicurezza.

Nell’albo d’oro dei più assidui vincitori della 24 Ore, dopo il campione belga c’è un terzetto composto dall’inglese Derek Bell, dal tedesco Frank Biela e dall’italiano Emanuele Pirro, tutti con cinque vittorie all’attivo. Quanto basta per assicurarsi la reputazione di specialisti della più dura tra le gare di durata. E questo anche se Bell e Pirro si sono cimentati pure in altre specialità, Formula 1 compresa, con buoni risultati.

  • condividi l'articolo
Giovedì 5 Giugno 2014 - Ultimo aggiornamento: 13-06-2017 15:06 | © RIPRODUZIONE RISERVATA