Le bandiere americana ed europea

Sfida globale/ Motori puliti, nuova guerra fra Ue e Usa

di Oscar Giannino
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Tre notizie hanno nuovamente scosso nelle fondamenta la fiducia dei mercati verso il settore dell’auto. Quando a settembre era esploso il caso Volskwagen, dopo il picco di timore di una crisi a macchia d’olio e non concentrata solo sulla grande azienda di Wolfsburg sembrava di fatto rientrata, o comunque di molto contenuta. Ieri l’ottovolante si è rimesso in moto. E proietta l’ombra di un diretto e pesante scontro regolatorio tra Stati Uniti ed Europa, che potrebbe produrre molti danni.

 
La prima notizia ha rilanciato il caso Vw: il regolatore dei trasporti della California ha rigettato le proposte di soluzione avanzate dall’azienda tedesca per risolvere il problema dei device truffaldini montati sui propulsori diesel 1600 e 2000. Volskwagen si è offerta sul mercato Usa, per tutti i modelli in cui l’intervento risulti possibile senza rimozione di carrozzeria, di innestare un nuovo catalizzatore Scr al posto dei precedenti, che venivano automaticamente disattivati durante la guida in condizioni reali. Per gli altri modelli ha proposto di riacquistarli ai proprietari.

Ma in Italia niente di tutto ciò, i proprietari dei modelli incriminati hanno ricevuto una lettera in cui si avvisa che Vw si farà viva per verificare il veicolo entro il 2016. Il regolatore californiano si è fermato prima della valutazione di congruità del ristoro al cliente. E’ sulla ricostruzione della decisione industriale assunta e sulle responsabilità che ha concretamente coinvolto, che l’autorità della California non vede le basi per riaccordare fiducia a Volkswagen. 

LA DECISIONE ATTESA
Se questa decisione è la premessa per un analogo atteggiamento del regolatore federale statunitense - l’Epa - da cui è attesa una decisione il prossimo 2 febbraio, per Vw le cose si metteranno molto male. Perché a quel punto davvero possono scattare sanzioni federali e statali per molti miliardi di dollari, oltre alle cause dei clienti. La seconda notizia ha rialimentato il sospetto sugli altri costruttori europei. Appena si è saputo che perquisizioni dei regolatori ambientali e dei trasporti francesi erano state effettuate in diversi stabilimenti Renault, il titolo in Borsa è caduto fino a perdere il 20% del valore. L’azienda ha replicato duramente di non essere coinvolta in nessuna frode. Più tardi, il ministro dell’Ambiente francese ha confermato che finora non sono stati riscontrati sui diesel Renault-Nissan congegni elettronici “alla tedesca”, ma che esiste semmai un problema di emissioni e consumi diversi dal dichiarato. Cosa che, del resto, sussiste in proporzioni diverse per tutti i produttori, vista la disciplina pluridecennale seguita per le omologazioni tecniche. A chiusura dei mercati il titolo Renault ha perso il 10%. La terza notizia ha invece colpito Fiat-Chrysler. Proprio in contemporanea al salone di Detroit, uno dei maggiori appuntamenti mondiali del settore, quella vera Bibbia informativa per noi tutti che è Automotive News ha lanciato uno scoop: una causa intentata da concessionari americani di Fca perché alcuni di loro sarebbero stati indotti monetariamente a truccare le cifre del venduto. Per Fca, giunta al 69esimo mese di travolgente crescita consecutiva nel mercato a stelle e strisce, e proprio all’indomani della fiera rivendicazione di Obama di aver salvato l’auto senza rimetterci il denaro pubblico mobilitato all’inizio, l’accusa di truffare sui numeri potrebbe rappresentare un incidente serissimo. Se invece di un’azione temeraria di un concessionario sleale si rivelasse espressione di una prassi diffusa, si può stare certi che i concorrenti americani non risparmierebbero a Marchionne colpi sotto la cintura. L’azienda ha negato di aver ricevuto alcuna citazione, ma respingendo l’accusa non ha aggiunto una sola parola. Al mercato non è piaciuta la formula, che è sembrata avvocatesca e circoscritta. Tanto che Fiat ieri ha perso in Borsa quasi l’8%. Passiamo ora alle conseguenze ipotizzabili. Che sono almeno tre. La prima riguarda l’ipotesi di una guerra sull’auto tra Stati Uniti ed Europa. La seconda è un problema europeo. La terza può investirci come Italia.

L’OCCASIONE
È purtroppo oggi verosimile e possibile che i regolatori americani facciano del caso Vw un’occasione per impartire una dura lezione all’industria europea. In realtà, storicamente i regolatori Usa sono stati conniventi come quelli europei, rispetto ai dati di emissione-consumo dichiarati dai produttori. Ma tra le due rive dell’Atlantico c’è una divaricazione netta tra i tetti consentiti di ossidi di azoto e CO2, dipendente dal fatto che nel mercato Usa il diesel pesa meno del 3% rispetto al 50% e talora oltre dei diversi mercati europei. Gli eccessivi ossidi di azoto - con cui gli Usa rischiano di infliggere una mazzata storica a Vw, e in realtà ai motori diesel che non riguardano l’industria americana - sono in realtà irritanti per i polmoni ma non velenosi, non sono derivanti dai carburanti bensì dal riscaldamento dell’aria da combustione. L’errore europeo è stato di voler assecondare il limite molto più basso di NOx americano attraverso catalizzatori che, per abbattere gli ossidi di azoto, aumentano in consumi di gasolio e sono molto dispendiosi. Peraltro credendo poi di disconnetterli fraudolentemente. In realtà, per quanto possa apparire strano gli ossidi azoto in un diesel salgono quanto più il propulsore è efficiente. In un mondo ordinato regolatori Usa e Ue si parlerebbero, per disegnare insieme un orizzonte comune di graduale convergenza dei tetti per tutti i diversi tipi di emissioni, e dei relativi testi di omologazione. Ma nel mondo d’oggi non avviene su come affrontare l’Isis o coordinare le banche centrali, figuriamoci sull’auto. Se si scatena, la guerra industriale sulle emissioni Usa e Ue ha come posta chi sarà dominante nell’auto mondiale, nella dura transizione del prossimo decennio: non è una gara ambientalista. E se guerra sarà, bisognerà combatterla.

DATI SULLA CARTA
Secondo: è vero che va cambiato radicalmente in Europa il regime delle omologazioni tecniche su emissioni-consumi delle auto, sostituendo le prove al banco fatte dai produttori con i test in strada a carico dei regolatori. Ma parliamoci chiaro: le emissioni dichiarate per i diesel euro5 ed euro6 tutti sanno da tempo che esistono solo sulla carta. Se ora davvero pretendiamo di volerle rispettare sul serio in strada, e magari vogliamo abbassarle ulteriormente, infliggiamo una mazzata di sovracosti all’auto europea di cui gli americani saranno ancor più contenti. Ci vuole realismo, ora che bisogna far chiarezza e piantarla col far finta di avere minori emissioni al solo scopo di far accelerare la vendita di nuovi modelli. È esattamente per questo che la riforma delle omologazioni europee è stata rinviata al 2017, e che in Italia i controlli-campione annunciati dal ministro Delrio a ottobre non si sono visti. 

Terzo, le ombre su Fca. Negli Usa c’è chi vuole fermare con sgambetti il disegno di Marchionne di un consolidamento entro fine 2017 tra Fca e Gm. Sarebbe un errore credere che la cosa non ci riguardi come italiani. È grazie a Fca che l’auto è l’unico settore della nostra manifattura a registrare doppia cifra di crescita per produzione, investimenti ed export. Occhio quindi agli sviluppi della vicenda-concessionari. Se si dovesse estendere o se dovesse emergere una volontà di strumentalizzarla, compiacersene sarebbe un doppio errore. Anche per chi come me ha criticato spesso l’eccessiva disinvoltura di Sergio Marchionne su piani industriali poi non rispettati.

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Venerdì 15 Gennaio 2016 - Ultimo aggiornamento: 18-01-2016 17:45 | © RIPRODUZIONE RISERVATA
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