MONTECARLO – Dal calcio (Manchester United) e dal football americano (Los Angeles Rams) alla Formula E il passo non è breve. Jaime Reigle è stato nominato Ceo del circuito elettrico nel settembre del 2019 e subito chiamato a gestire la pandemia. Adesso, nella nona stagione, a ridosso dell'Hercule Port del Principato di Monaco, può tirare il fiato e godersi i risultati di questi anni, che hanno portato la Formula E in nuovi paesi.
Un giudizio sulla prima metà della stagione con le monoposto Gen3?
«Non nascondo che prima dell'inizio c'era molta ansia: una nuova macchina, più leggera e di 100 kWh più potente, nuove gomme, i residui della pandemia. Piloti e scuderie ci chiedevano se saremmo stati pronti: è vero che avremmo voluto aver avuto più tempo prima di cominciare, ma direi che la Gen3 è stata un successo».
Altre preoccupazioni?
«Come no. Ci domandavano se ci sarebbero stati ancora sorpassi: mi pare che ce ne siano abbastanza. E ci domandavano anche della velocità: adesso che i piloti hanno preso le misure alle monoposto a Berlino si è visto che nelle qualifiche si è girato su tempi di un secondo inferiori a quelli registrati con le Gen2, che tutti conoscevano in servizio da quattro anni».
Tutto è bene quel che...comincia bene.
«Un pilota mi ha confessato confidenzialmente che se tutti avessero apprezzato subito la macchina avrebbe voluto dire che non abbiamo osato abbastanza, che non ci siamo spinti troppo in avanti. Credo che il fatto che la Gen3 sia più impegnativa da guidare faccia proprio parte dello spirito sportivo».
È anche la seconda stagione con il nuovo sistema di qualifica...
«Mi pare che ci sia un giusto equilibrio che non toglie il fascino dell'imprevedibilità: quest'anno nessuno fra quelli partiti dalla pole ha mai vinto. Succederà, ma finora non è ancora capitato».
Vi ha premiato anche il pubblico?
«Lo dicono i numeri: quasi tutti gli eventi hanno fatto registrare il tutto esaurito. A Città del Messico siamo arrivati a trentacinquemila spettatori...».
Avete avuto problemi anche con i pezzi di ricambio.
«Adesso va molto meglio. La disponibilità è stata un problema, soprattutto per un campionato come il nostro in cui tutto è concentrato in poche ore di una singola giornata, ma so che anche altre serie hanno avuto difficoltà analoghe. Va però detto che c'era anche una sorta di “gentlemen agreement” fra le scuderie».
Gentlemen agreement?
«Sì, che si sarebbero in qualche modo aiutate in caso di difficoltà. Non mi pare che ce ne sia mai stato bisogno, ma lo spirito per l'aiuto reciproco c'era».
Parliamo del calendario: Città del Capo è stato un successo, ma manca la Cina.
«Gli eventi non dipendono solo da noi, ma sarei deluso se Città del Capo non ci fosse la prossima stagione, è stato un evento spettacolare con venticinquemila tifosi».
Naturalmente ci saranno più delle sedici gare di quest'anno.
«Non posso dire niente. Vedremo a Le Mans, dove si riunisce l'apposita Commissione della Fia, ma speriamo di crescere, sì».
Tornando in Cina?
«Abbiamo bisogno di essere in Cina, ma fino a gennaio il paese era completamente chiuso per via del covid. In ogni caso non è come in Occidentale che schiocchi le dita e ci torni. Abbiamo bisogno di almeno dodici o ventiquattro mesi per ricostruire tutto».
Per i costruttori è un mercato strategico.
«Lo sappiamo. Quest'anno abbiamo portato la Formula E in India, in Brasile e in Sud Africa, che sono mercati diciamo emergenti, una delle componenti del calendario. Poi ci sono quelli in cui siamo presenti da anni e in città come Londra, Roma, Berlino e avanti così dove possiamo crescere ancora. E poi ci sono quelli strategici dove non siamo ancora sviluppati abbastanza: la Cina è fra questi, ma anche il Giappone e gli Stati Uniti».
Quest'anno esordisce Portland e si parla di Los Angeles, con un circuito attorno allo stadio.
«Non c'è niente di confermato: ci sono persone che stanno ancora discutendo e serve tempo».
Magari due gare?
«Se mi chiedi se l'anno prossimo saremo negli Stati Uniti dico che le probabilità sono alte. Se vuoi sapere se sono due rispondo “bella domanda”».
E le probabilità che nel 2024 la Formula E sia in Cina?
«Sono basse».
Il passaggio ai box per la ricarica veloce è stato posticipato. Le squadre sono contente.
«I costruttori e le squadre lo chiedevano, ma adesso non lo vogliono. Le basi regolamentari per introdurlo a stagione cominciata c'erano ed erano state concordate. Il problema non è nelle norme, ma capisco che dal punto di vista sportivo per le scuderie le cosi cambino».
Troppo rischioso, insomma?
«Siamo sinceri: se chiediamo agli appassionati se sentono la necessità di una sosta ai box dicono di no. L'innovazione deve servire ai tifosi e a loro il pit stop non manca. Deve diventare interessante con delle strategie, anche perché il passaggio rischia di portare via tra i sessanta e gli ottanta secondi, che in alcuni circuiti significa un giro».
Vuol dire che potrebbe non venire introdotto dovunque?
«Esatto. Lo avremo l'anno prossimo: in alcune città sì, in altre no. E poi dipende anche come, magari negli eventi doppi».
Quando se ne saprà di più?
«Faremo delle simulazioni in autunno, anche per capire se tenere sempre aperta o meno la pit lane. La Formula E ha il pregio di essere semplice: accendi la tv e vedi chi è davanti e sai che lui è il primo. Vogliamo che resti intuitiva».
La dodicesima squadra?
«Non è una grande priorità. Dodici è il massimo, ma chi l'ha detto che dieci non bastino?. Sui nostri circuiti con ventiquattro monoposto al via potrebbe esserci molto traffico. Il campionato ha bisogno di un piano chiaro e di un partner convinto. E di sicuro di manca una casa americana».